Parte 9

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La mattina mi svegliò lui. Mi disse che era in centro e che doveva vedermi. Con gli occhi pieni di sonno notai che sottolineava un dovere e quella parola, non era nel suo vocabolario. Risposi che dovevo uscire il bassotto e gli chiesi cosa facesse lì. Lui rispose che era lì per me e che aveva mentito il giorno prima. Che lui diceva tante cose. Che non doveva fare niente, se non vedermi e quello doveva farlo per forza. Forza…quella che mi mancò per dirgli di no. Misi le scarpe e scesi in pigiama e avvolta nel parka. Alle domande di mia madre risposi che Elisa stava partendo e che dovevo salutarla. Lei mi chiese se ci fosse anche il ragazzo di qualche sera prima. Io risposi che non lo sapevo, ma lo sapevo. Ovvio che lo sapevo, dovevo vedermi solo con lui. Andammo in delle scale anti incendio accanto a casa mia per parlare in tranquillità. Lui sembrava nervoso e giocava con i lacci del parka. Gli chiesi cosa ci fosse. Non mi guardava. Qualcosa era successo e appena arrivammo insistetti.
“Le ho chiesto una pausa” mi disse mentre dal mio telefono usciva una musica aggressiva e quasi assordante. Io lo guardai, stupita e spaventata. Non volevo che la lasciasse a causa mia. Non sapevo che tra loro le cose non andavano, arrancavano e basta in un rantolo che precede la morte da prima di me. Mi assalì il panico. Era quello che volevo, ma una parte di me non lo voleva. In quel momento mi resi conto che quello non era un sogno. Era realtà e dovevo affrontarla, prima che lei lo facesse con me.
“Perché?”
“Perché sento che mi sto affezionando a te”
Lui, non era una persona di quelle banali, che dice ‘ti amo’ subito perché sa quanto quelle due parole possono essere importanti. Ed io ero troppo ingenua per capire che quel “mi sto affezionando a te” sussurrava un “Voglio te”. Risposi che sarei rimasta sua amica e lui mi zittì, baciandomi, cercando di farmi capire quei suoi sussurri, ma io ero sorda e avevo bisogno di sentirglielo urlare. Lui cercava disperatamente di farmi capire, di spiegarsi con i gesti, con le labbra, con le mani. Dissi che una pausa non significava niente, che stavo ancora insieme e che io non potevo continuare quella storia. Lo rifiutai. Immersi le mani nel parka e accesi una sigaretta. L’aria era fredda, ma mai quanto la mia mente in quel momento.
“Io non posso più continuare. Non posso, non ci riesco. Scordati di me una buona volta o sforzati ad essermi solo amico. Tu hai il cuore impegnato, io, ho il cuore impegnativo e la mente ancora di più” spiegai senza emozione “Devi dirle cosa è successo e invocare il suo perdono”
Rimase stupito e io gli dissi che doveva saperlo. Mi disse che le cose già andavano male e che non era colpa mia, ma io rimanevo della mia opinione e ai miei occhi mi sembravano tutte scuse. Non capivo e non volevo nemmeno capire. I fatti parlavano chiaro. E io mi sentivo sporca. Lui abbassò gli occhi e si arrese. Si arrese sotto il mio sguardo. Così mi alzai e uscì il cane. Lui mi seguì, ma io non seguì più i suoi discorsi.

L'Alba di Caøs ed ÅrmoniåDove le storie prendono vita. Scoprilo ora