Parte 7

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Quel giorno lo salutai alla porta di casa mia con gli occhi chiusi in modo da non poter sperare. Gli lasciai un bacio sulla guancia e lui esitò
“Da oggi basta, Ninni. Devi svegliarti. Questo sogno sta durando troppo. Tu sei fidanzato e io non me lo gioco più il cuore” lo dissi così, senza peli sulla lingua. Volevo che lui capisse. Lo sentì sospirare, poi non sentì più niente. Quando riaprì gli occhi lui non c’era più. Io lo aspettavo, lo aspettavo da tanto, ma non potevo più concedermi il lusso di farlo. Avevo rivissuto come era stare sul filo del rasoio. La parte più bella. Ma era il momento di tornare alla mia vita. Non potevo accettare il rischio. Non potevo più permettermi di vivere anche la parte brutta di queste cose.
MI scrisse  dopo un’ora. Io non risposi. Tornai ai miei disegni con il tratto marcato che lui ancora detesta. Non avevo mai disegnato per ricevere complimenti o per usare un determinato stile. Disegnavo per imprimere le emozioni su carta quando l’inchiostro non mi bastava. Volevo solo ricordare e in quel momento io stavo raccontando. Lui mi scrisse ancora e ancora facendo vibrare il telefono con costanza, senza pause. Si scusò con me per ciò che stava facendo. In precedenza, gli avevo detto che lei doveva saperlo, perché non era giusto e quella sera mi promise che gliene avrebbe parlato.
“In ogni caso, tra noi non ci sarà niente” risposi, poi lui cercò di attaccare discorso ma io avevo già spento lo sguardo e il telefono.

Passarono i giorni tra un messaggio e l’altro. La mia forza di volontà era sempre stata forte, come il mio orgoglio, però avevo detto che potevamo essere amici e lui voleva parlare. Io, in segreto, adoravo parlare con lui. Mi piaceva il suo modo di vedere il mondo, così simile al mio. Quella sua rabbia cieca che gli permetteva di portarsi avanti e quel mix di sentimenti e sensazioni che lo rendevano un vero artista. Ma, come ogni artista, era anche incompreso. Mi parlò a lungo di questo problema. Che poi, lui ci aveva fatto l’abitudine e l’unica a vederlo come un problema ero io. Alle sue espressioni tutti rispondevano con delle frasi fatte come: “Grazie che riesci, vai all’artistico” o in alcuni casi particolari con “solo questo sai fare! Imbrattare i fogli”. Li odiavo. Entrambi i tipi di persone. Se vai all’artistico non vuol dire che sei bravo. La bravura, soprattutto la sua, nasceva da ciò che sentiva. Nasceva dalla sua voglia di crescere con la sua arte ed io in silenzio, lo ammiravo. Lo ammiravo perché sapevo che lo avrebbe portato lontano e lo credo ancora anche se dell’arte non parliamo più. Quando mi raccontava di questi episodi lo vedevo attraverso la tastiera che qualcosa in lui si disperava. Lo vedevo attraverso i messaggi che qualcosa si spegneva. Gli artisti sono sempre incompresi e lui lo era. Era un artista ed era anche incompreso. Odiavo quando faceva vedere un suo nuovo disegno e gli rispondevano con “bello”, senza aggiungere “cosa hai?” o un “È tutto bene?”. Perché i suoi disegni parlavano, solo che nessuno voleva ascoltarli.
Iniziò a mandarli anche a me, dopo tre giorni circa. Era il periodo di natale e per me fu un regalo. Al suo disegno non risposi, non sapevo che dire. Era bello esteticamente, ma parlava e non sapevo come rispondere. “non ti piace?” mi chiese e io risi anche se lui non poteva vedermi. Risi forte e lo feci vedere a mia sorella. Lei disse “È bello. Il ragazzo è bravo.” Lo sapevo già che era bello, anche il disegno lo era, ma io non me la sentivo di limitarmi a dire che era bello. Così scrissi: “Perché me lo hai inviato?”.
Lui rispose: “voglio che tu sappia” e da lì compresi che le mie non erano supposizioni.

L'Alba di Caøs ed ÅrmoniåWhere stories live. Discover now