Capitolo 7 - Dad

Começar do início
                                    

«Cosa ti succede?» domandò dopo un tempo indefinito di silenzio durante il quale si era sdraiato sulla panchina e aveva utilizzato le mie cosce come cuscino.

«Niente» affermai spostando la sguardo sugli alberi davanti a noi. C'era un leggero venticello che muoveva le foglie su di essi, creando un fruscio quasi rilassante.

«Melissa lo sai che ti conosco meglio di quanto tu conosca te stessa, quindi adesso mi spieghi cosa ti succede.» dichiarò autoritario, ma allo stesso tempo dolcemente.

«Sono solo stanca, tutto qua. Vivere con Taylor è una vera e propria impresa, tanto più se mia madre non è a casa. Sono via da quasi un mese e lei non si è nemmeno degnata di chiamarmi per chiedere come sto, sembra che tutto vada a rotoli» spiegai lasciando libero sfogo ai miei pensieri, tralasciando però l'accaduto con quello che sarebbe, molto probabilmente, diventato mio fratello.

«Lo so che è difficile, ma prendilo come un nuovo inizio, una nuova vita» mi consigliò finendo la mia sigaretta per poi buttarla a terra.

Se il preside lo avesse visto avrebbe passato guai seri.

«Come se fosse facile» ribattei, forse troppo acidamente.

«Non ho detto che è facile»

«Aspetta ma tu cosa ci fai qua?» domandi cambiando bellamente discorso mentre nel frattempo passavo svariate volte le mani fra i suoi capelli castani.

«Sbattuto fuori pure io» ridacchiò quasi fiero di sé stesso.

Passammo il resto dell'ora a parlare e a scherzare fino a quando la campanella suonò avvisandoci della fine delle lezioni. Salutai il mio migliore amico con un caloroso abbraccio e mi diressi in palestra.

La scuola era ormai vuota. Gli studenti uscivano da quel posto più in fretta di quanto ci impiegavano ad entrare.

Il bidello mi aveva fermata avvertendomi che per quella volta avevo scampo all detenzione, ma se fosse successo u'altra volta, il preside avrebbe provveduto personalmente alla mia punizione.

Il rumore dei miei passi rimbombava in tutto il corridoio, ma una volta vicina alla palestra quel rumore fu quasi del tutto coperto da forti gemiti.

Spalancai la porta pronta ad affrontare un lungo pomeriggio di selezioni, ma quello che mi trovai davanti non fu ciò che immaginavo.

Mi bloccai sui miei stessi passi sussultando alla vista di Taylor e Alesha intenti a darsi piacere a vicenda.

«Oddio mio, scusate...io pensavo...beh...niente...ciao» balbettai per poi uscire con le lacrime agli occhi. Perché diavolo avevo le lacrime agli occhi? Perché diavolo ero sul punto di piangere?

Uscii di corsa dalla scuola arrivando giusto in tempo per prendere il pullman che mi avrebbe portata a casa.

Asciugai le lacrime prepotentemente, afferrando subito dopo le cuffie dalla borsa.

Ero patetica, diamine se lo ero. Non mi riconoscevo nemmeno più.

Percorsi lentamente il vialetto  e mi rintanai in casa sbattendo rumorosamente la porta d'ingresso.

Posai malamente la borsa vicino all'entrata e senza troppe esitazioni mi diressi in camera mia, buttandomi sul letto.

Mi alzai infuriata da quest'ultimo che non faceva altro che rammendarmi ciò che era successo la sera della festa.

Cambiai per la terza volta in quei tre giorni le lenzuola, per poi passare una buona mezz'ora sotto il getto bollente della doccia.

Accesi la musica al massimo e aprii quel maledetto libro di geografia.

Niente detenzione, ma l'interrogazione non l'avrei di certo scampata.

«Fanculo» imprecai dopo qualche ora, chiudendo rumorosamente il libro.

Lancia una fugace occhiata all'orologio sopra la porta accorgendomi che era ormai giunta l'ora di cenare.

Afferrai il telefono e dopo aver spento la musica, mi diressi in cucina.

Dal silenzio che regnava in casa potei dedurre che Taylor non fosse ancora rientrato, così, con tutta la calma del modo, decisi di preparare qualcosa da mangiare.

Mentre la mia testa era letteralmente dentro il frigo, il mio telefono suonò e continuando ad esaminare i cibi riposi.

"Ciao Mel, sono.." mi paralizzai all'udire quella voce tanto familiare quanto estranea, era mesi che non mi chiamava.

"Papà" finii io per lui mentre nel frattempo chiudevo il frigo. La fame mi era passata.

"Scusa se non ti ho più chiamato ma sono stato sommerso dal lavoro, sono a mala pena riuscito a passare un po' di tempo con la mia famiglia" si scusò. Il mio cuore perse un battito nel sentire la parola "famiglia", che però non era riferita a me o mia madre, ma ad un'altra donna.

"Oh...Okay, non fa nulla" risposi cercando di fermare le lacrime che rigavano il mio volto.

"So che non ci siamo sentiti e visti per un po' di tempo, perciò volevo chiederti se ti andava di passare le vacanze di natale qui da me" domandò dopo qualche minuto di silenzio. Il nervosismo era percepibile dalla voce, ma come potevo biasimarlo. Io non ero da meno. Le lacrime smembravano aumentare ogni secondo.

"..Non lo so...non abbiamo ancora parlato di Natale con la mamma" affermai mentre la mia voce veniva smorzata da un singhiozzo.

"Tutto bene?" domandò preoccupato.

"Sì..sì...solo che devo andare, ho da studiare molto per domani....e..beh...ti faccio sapere" conclusi prima di riattaccare la telefonata. Scivolai con la schiena contro il muro della cucina, per poi avvicinare le ginocchia al petto e cingerle con le mani. Niente pianti, me lo ero promesso, ma mi sembrava impossibile non piangere.

La porta di casa sbatté e io di rimando sussultai alzandomi il più velocemente possibile da terra. Taylor era tornato.

Mi asciugai furiosamente le lacrime prima di afferrare il telefono e chiamare Alex.

"Ehi Mel" rispose dopo il terzo squillo.

"Alex..ehm...che fai?" domandi facendo respiri profondi sperando di calmarmi.

"Guardavo la partita perché? E' successo qualcosa?"

"Mio padre" singhiozzai. Cazzo. Presi a mordermi furiosamente il labbro fino a farlo sanguinare.

"Arrivo subito piccola, tu preparati per uscire" affermò prima di chiudere la chiamata.

Mi passai le mani sul volto frustrata eliminando gli ultimi residui di lacrime e ripresi a respirare profondamente mentre tenevo lo sguardo fisso sulla finestra che dava al retro della casa.

«Ciao» salutò freddo. Strinsi il ripiano di marmo fino a sentire male alle dita mentre sul mio viso comparve un sorriso amaro. Stavo diventando pazza.

Lui, mia madre, quella casa, mio padre, loro mi stavano facendo diventare pazza,

Dopo aver preso un'ulteriore respiro profondo mi diressi a passo svelto verso la mia camera, senza preoccuparmi di ricambiare il suo saluto.

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