Capitolo 6 - Hangover

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Tuttavia il sollievo svanì non appena mi accorsi che era piuttosto ubriaco.

«Taylor c-cosa vuoi?» domandai indietreggiando lentamente.

«Perché quello stupido ti ha ficcato la lingua in bocca?» domandò alzando il tono della voce. Non riuscivo a capire per quale motivo stesse avendo quella reazione, nonostante il mio cervello stesse provando ad ipotizzare qualsiasi probabilità.

«Non lo so» sussurrai abbassando lo sguardo a terra. Diamine, odiavo l'effetto che mi faceva.

«Cazzo ma lo vuoi capire che nessuno ti può toccare? Nessuno. Solo io posso. Tu sei MIA, sei di MIA proprietà» affermò gesticolando e scandendo l'aggettivo "mia", non ostinandosi ad abbassare il tono di voce.

Che cosa intendeva? Per quale motivo mi aveva definita sua?

Che fosse geloso? 

Impossibile, quella era l'ultima possibilità da tenere in considerazione. Probabilmente era solo possessivo nei confronti delle sue puttanelle. Un po' troppo possessivo.

«Io non sono di nessuno! Men che meno tua» ribattei con tono fermo.

«Chi dice che tu non lo sia?» biascicò bloccandomi con le spalle al muro.

«Io non sono tua, io non sono come le altre che ti scopi lo vuoi capire?» mi dimenai dalla presa che sosteneva sui miei fianchi, ma nonostante il suo stato di ebrezza era una vera e propria impresa sgusciare fuori dalle sue mani.

Sentivo gli occhi pizzicare ed ero pienamente consapevole che da lì a poco le lacrime avrebbero preso a scendere lungo le mie guance. Mi faceva ribollire di rabbia.

«Tu non sei come loro. Tu sei tu e tu sei mia» affermò prima di avventarsi sulle mie labbra, non lasciandomi nemmeno l'opportunità di fiatare.

Misi involontariamente le mani intorno al suo collo, come se ormai fosse un gesto naturale, mentre le sue finirono al di sotto del mio vestito.

Odiavo ammetterlo, ma avevo sentito la mancanza delle sue labbra e delle sue mani a contatto con la mia pelle.

Sentivo le sue mani scorrere lungo tutto il mio corpo mandando in fiamme ogni centimetro di pelle che sfiorava.

«No» proferii acquistando un momento di lucidità quando aprì la zip del mio vestito.

Era del tutto ubriaco, almeno speravo fosse solo alcool quello che aveva in copro, e molto probabilmente il giorno dopo si sarebbe ricordato poco e niente degli avvenimenti di quella sera. «Scusa...io devo andare» aggiunsi scansandolo da sopra il mio corpo. Mi aggiustai velocemente il vestito e i capelli.

«Scusami tu» disse frastornato, come se nemmeno si fosse reso conto di quello che stava facendo.

Aveva la camicia sbottonata per metà e l'altra metà era abbottonata malamente.

Cercai di non ridere per l'aspetto che aveva e con tutta la forza di volontà che mi era rimasta gliela riabbottonai.

«Grazie» sussurrò prima di uscire dalla stanza, lasciandomi sola in mezzo all'oscurità della stanza in compagnia dei pensieri che mi rimbombavano in testa.

Era ormai un'ora che ero seduta a gambe incrociate nel salotto mentre la bottiglia di vodka vuota girava al centro del cerchio che avevamo formato.

«Melissa» proferì Taylor posando lo sguardo su di me. La sorte aveva scelto me.

«Sai vergine?» chiese un ragazzo vicino a lui probabilmente anticipandolo dato he sembrò alterarsi leggermente.

La mia risposta fu preceduta da un lungo silenzio, dovuto a tutti i pensieri degli anni passati che si fecero spazio nella mia mente. «No» dissi riprendendomi dal mio passato e girandomi verso Taylor che mi guardava quasi sorpreso della mia affermazione.

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