SESSANTUNO

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Mi alzo dal letto con la mente piena di pensieri. Il sole mi sta praticamente accecando, ma nonostante siano passate ore intere dall'accaduto ancora mi sembra di stare vivendo in un incubo. Non sono riuscita a chiudere occhio stanotte.

Non tanto per ciò che è successo col padre di Nathan, ma per ciò che è successo dopo. Nathan era rimasto per un'ora fermo a guardare il muro, in preda a non so quali pensieri. Sia io che sua madre avevamo provato a farlo ragionare, ma non c'erano state risposte. O meglio, era arrivata una richiesta in privato, qualche minuto dopo.

Anche se dovevo rimanere a dormire da lui infatti, Nathan mi aveva esplicitamente chiesto di tornare a casa. Quando gliene avevo chiesto il motivo mi aveva abbracciato forte, immergendo la sua faccia nei miei capelli, e aveva detto con una vocina flebile che non avrebbe voluto perdere una delle poche cose buone che aveva, e che aveva bisogno di rimanere da solo per un po'.

Avevo accolto la sua richiesta senza battere ciglio, ma appena arrivata a casa mi ero resa conto di quanto quella domanda mi avesse scavato dentro. Mi aveva definita una delle poche cose buone della sua vita, eppure io gli stavo spudoratamente mentendo. Eleonore Parker non era mai esistita, e avere a che fare con Reel Payn a briglia sciolta non sarebbe stato semplice. Sempre se avesse ancora voluto vedermi.
In ogni caso, se mi avesse conosciuto per quella che ero avrei potuto aiutarlo. Anche a costo di perderlo.

Era stata la prima volta in cui avevo pianto per amore, e per evitare che qualcuno lo scoprisse avevo spento il telefono. Non volevo sentire nessuno.

Mi dirigo verso il bagno e mi preparo controvoglia. Ho le gambe che mi tremano, gli occhi scavati dal senso di colpa e una brutta, bruttissima cera.
Ho deciso: gli dico tutto. Devo farlo. Non posso continuare così, e a costo di lasciarlo andare devo dirgli la verità. Posso aiutarlo in qualche modo, ma lui deve sapere.

Decido di paccare Mason e gli altri, e di prendermi il mio tempo per capire come dirglielo. Mi infilo in distintivo in tasca come prova della mia colpevolezza, e parto per andare a prendere l'autobus.

Arrivo a scuola trascinandomi come un soldato mezzo morto lungo una sponda del fiume, cercando distrattamente il mio armadietto. Tiro fuori il cellulare dalla tasca, e noto che è ancora spento. Schiaccio il tasto dell'accensione, e inserisco il pin distrattamente.

"El!"

Quel nome oggi più che mai mi dà tremendamente sui nervi. Reel, mi chiamo Reel! Vorrei urlare. Ma non posso. I nervi a fior di pelle mi tengono al limite della lucidità. Se continuo così, non solo mi verrà un'ulcera, ma mi torneranno i sintomi della sindrome da stress post-traumatico. L'avevo sviluppata da piccola, ed era sempre stato un tallone d'Achille. In sostanza, un singolo evento scatenante mi avrebbe potuto condannare a rivivere più volte il trauma precedente, come in un tunnel senza uscita.

"Ciao" borbotto, esausta, verso Mason, Betty e tutti gli altri.

"Che brutta cera che hai" mi dice Lisa, preoccupata.

"Dormito male. Sai dov'è Nathan? Devo parlargli" rispondo nervosamente, rivolgendomi poi a Mason.

"È arrivato poco fa, ti stava cercando" mi dice, lanciandomi uno sguardo che dato l'accaduto potevo capire solo io.

"Eleonore"

La sua voce è come una freccia avvelenata per le mie ginocchia, che hanno un cedimento impercettibile. È ora.

Mi volto verso Nathan e credo, in meno di 24h, di stare per scoppiare a piangere una seconda volta.

Un dettaglio inquietante però attira la mia attenzione più di Nathan. Il mio cellulare comincia a vibrare senza sosta, ma non sto ricevendo una chiamata. Sono messaggi.

A WHITE HAIR SECRETOn viuen les histories. Descobreix ara