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Il parcheggio dell'università si riempì di studenti desiderosi di lasciare l'edificio e concedersi un weekend di tregua.

In mezzo alla folla una figura esile, non molto alta, capelli castani, e due occhi color nocciola, languidi, dolci. Vent'anni appena compiuti, studente del secondo anno di ingegneria informatica ... Kim Jongdae.

Rovistando nella cartella, in cerca di una chiave, stava raggiungendo la sua auto quando un uomo l' avvicinò gentilmente.

«Buon pomeriggio Jongdae»

Il ragazzo si voltò, posando i suoi grandi occhi su un uomo di 30 anni molto familiare.

«Buongiorno signor Lu»

«Jongdae il signor Kim ti vorrebbe parlare»

«Di nuovo? Cos'ha combinato ancora quello stupido del mio patrigno?» sbuffò il ragazzo, visibilmente scocciato.

«Non sono autorizzato a risponderti Jongdae, scusa. Il signor Kim ti spiegherà ogni cosa se vorrai seguirmi»

«Odio quell'uomo! Approfitta delle debolezze altrui per far soldi. Se il mio patrigno ha di nuovo perso dei soldi nel suo casinò che si arrangi! Ho lavorato come un pazzo per tre mesi per pagargli l'ultimo debito con Minseok, adesso si arrangi!» rispose il ragazzo sempre più alterato.

«Jongdae per favore, questa volta tuo padre è andato un po' oltre. Per cortesia seguimi» lo implorò l'uomo, dispiaciuto.

«D'accordo! Ma non è mio padre!» puntualizzò Jongdae irritato.

No, quell'uomo non era suo padre. Il suo papà era morto quando lui aveva solo due anni, di lui ricordava poco e niente. L'unica cosa che aveva di suo padre era una scatola piena di fotografie, che lui custodiva gelosamente. Una scatola dalla quale non si sarebbe mai separato. Una scatola piena di ricordi che lui non aveva.

L'uomo che fingeva di essere suo padre, da ormai diciotto anni, era un inetto, un essere immondo che oltre ad avere il vizio del gioco, aveva trascinato sua madre nell'alcool.

Già sua madre! Bella madre che si ritrovava! Una donna che preferiva assecondare gli uomini piuttosto che prendersi cura dei propri figli. Come aveva fatto suo padre a sposarla? Lui che era un pezzo d'uomo, un militare, morto con onore, aveva sposato una donnetta insulsa che, dopo solo sei mesi di lutto, se la spassava con un imbecille che, praticamente, viveva attaccato al tavolo da gioco. Quelle due sottospecie di genitori non avevano mai provveduto a lui e al fratello. Se Jongdae poteva permettersi l'università era grazie ad un piccolo fondo che il padre gli aveva lasciato alla sua morte, per il resto si era sempre arrangiato in lavoretti saltuari dall'età di quindici anni.

"Cosa diavolo avrà combinato adesso quello stronzo? Ma guarda se mia madre doveva portarmi in casa un imbecille del genere. Stronza pure lei. Alcolizzata e stronza! Come minimo si sarà giocato la mia auto, di nuovo! O la casa! Deficiente coglione! Dio quanto vi odio!!!" pensava Jongdae mentre si dirigeva verso il locale di quel depravato di Minseok .

Kim Minseok, proprietario del casinò dove il patrigno di Jongdae passava le sue serate. Kim Minseok che l'ultima volta, per permettergli di pagare il debito di gioco, l'aveva fatto lavorare come barista nel suo locale. Tre mesi di lavoro gratuito!

Davanti alla porta dell'ufficio dell'uomo Jongdae tirò un respiro profondo e bussò.

«Avanti»

Il ragazzo entrò, senza salutare e si fermò davanti la scrivania.

Un uomo di trent'anni lo guardava serio. I suoi occhi neri lo scrutavano in ogni minimo dettaglio. Minseok era, di fatto, un bell'uomo, un metro e settantatre, snello ma ben definito, capelli biondi scompigliati e due occhi, color della notte, dentro i quali molte donne e molti uomini sarebbero morti volentieri. Era affascinante ma, allo stesso tempo, possedeva un non so che di misterioso, un' oscurità, che attirava chiunque gli posasse gli occhi addosso. Aveva uno sguardo in grado di incatenare a se qualsiasi persona lo guardasse, uomo o donna.

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