Posso, Carl Brave ft. Max Gazzè

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Posso, posso, posso, posso, posso
Stringerti la mano 
E dirti cose che non 
Posso, posso, posso, posso, posso

Federico Chiesa
Segnare l'ultimo di tre gol in una partita è una cosa relativamente rassicurante, per i tifosi e per il mister, perchè è la prova che la partita in quel momento è chiusa davvero, nella maggior parte dei casi.
Non solo era stata una partita molto bella, ma aveva segnato anche Marko, ed ero contentissimo per lui e immaginai lo fosse pure Deborah.
Quando uscii dallo spogliatoio ero uno degli ultimi, e il croato era già fuori, perciò non avevo visto la reazione della ragazza alla vista di suo fratello, reduce dal primo gol stagionale.
In compenso vidi, appena uscito dal Franchi, il gruppo dei miei compagni di squadra e scorsi anche Giusy, la moglie di Marco, e più spostata vi era proprio Deborah, che chiacchierava e rideva insieme a Nikola, probabilmente riguardo al gol del ragazzo.
Lo fissai, mentre lui le sorrideva pericolosamente e le cingeva le spalle con un braccio.
Scollati da lei brutto stronzo.
Mi diressi verso di loro e alzai il braccio sorridendo verso Nikola, nonostante il quel momento volessi solo picchiargli la testa contro il muro.
"Ehilà."
Salutai anche Deborah, che mi fece i complimenti per il gol e mi lanciò la sfida: segnare ogni partita.
Tranquilla che la scommessa la vinco io.
Per ultimo uscì il mister, che ci sorrise e si sfregò le mani per riscaldarsi dall'aria fresca della serata di fine settembre.
"Allora, ci saliamo su 'sto pullman?" domandò, quindi tutti annuimmo.
Salimmo sul pullman della squadra, che ci avrebbe riportati al centro sportivo, dal quale poi ognuno avrebbe ripreso la sua auto e sarebbe andato a casa propria.
Mi sedetti in fondo, come facevo alle gite delle medie, nel posto dei 'casinisti', insieme a Giovanni, Jordan, German e Marko, che si mise nel posto doppio insieme a Deborah.
Mentre noi ragazzi scherzavamo dopo la vittoria, Deborah stava beatamente semi sdraiata sul sedile, con la testa poggiata allo schienale e gli occhi chiusi.
"Dorme?" domandò Jordan alzandosi appena per guardare la ragazza.
Marko si rivolse verso di lei e la studiò un attimo.
"Sì, penso di sì."
Giovanni si alzò come una molla dal suo sedile e prese qualcosa dal suo zaino. Sorrise sornione insieme a Jordan, quindi mostrò a tutti noi l'oggetto recuperato: una bottiglietta d'acqua mezza vuota.
"Non vorrai..." iniziai, ma German rise.
"Vai vai!" lo incitò, quindi Gio si sporse in avanti e poggiò i gomiti sulle sedile davanti, che ospitava Deborah, e aprì la bottiglietta. La inclinò.
"Sono generoso, ne faccio scendere poca." borbottò, quindi inclinò la bottiglietta ancora fino a che l'acqua scese sulla testa della malcapitata.
Appena l'acqua la sfiorò e le scivolò sul volto, Deborah aprì gli occhi e scattò a sedere, toccandosi il capo.
"Cazzo!" esclamò. Si voltò e con gli occhi ci scrutò mentre ridevamo e individuò la bottiglia in mano a Giovanni.
"Giovanni Simeone! - lo appellò minacciosamente - Prega i tuoi dèi, perchè hai vita breve!"
Giovanni continuò a ridere.
"Ora ho pure i capelli bagnati. - si lamentò strizzandosi le punte dei capelli castani - Davvero Gio, io ti meno."
Lui sorrise.
"Dai, lo so che mi vuoi bene." replicò l'argentino.
Deborah si lasciò andare in un sorriso, che mi fece sciogliere. Che bel sorriso.
"Quando non fai lo stronzo sì, ti voglio bene."
"A me invece vuoi bene anche quando sono stronzo, vero?" le domandai ammiccando.
"Tu non sei mai stronzo con me." ribattè inclinando la testa.
"Appunto, quindi mi vuoi bene sempre." trassi le conclusioni, quindi lei sorrise ancora.
"Modesto proprio." commentò, mentre osservò suo fratello.
"E tu ovviamente hai lasciato che Giovanni si prendesse gioco di me e mi facesse la doccia, vero?" notò sorridendo, anche se il sorriso rivolto a Marko intendeva dire 'certo che sei bastardo'.
Marko alzò le braccia e fece l'innocente di turno.
"Io sono l'unico che non c'entra niente. - si difese - Non immischiarmi in faccende che non mi riguardano."
"Dai, vi perdono. - disse allora la ragazza sorridendo - Tu Gio però mi offri una colazione."
Lui la guardò stranito.
"Perchè io?!" chiese stupito.
"Perchè sei tu ad aver avuto l'iniziativa. - spiegò con nonchalance - Domani mi offri qualcosa."
Lui fece spallucce.
"Contenta te..."

La mattina seguente venni svegliato dallo squillo del telefono. Guardai l'orologio: erano le 7.40.
Chi cazzo mi chiama a quest'ora della domenica?
Su tutte le furie afferrai il telefono e, nel vedere il nome sullo schermo, mi incazzai ancora di più.
Chiamata in arrivo da: Cholito ⚽
Giovanni io ti ammazzo.
"Pronto?" dissi, già immaginando la tortura che avrei riservato all'argentino.
"Ehi Fede scusa l'orario ma mi serve un favore. Anzi, ti serve un favore." mi rispose.
"Ma hai bevuto?" replicai confuso.
"No! - esclamò -Ti sto facendo un favore. Devo pagare la colazione a Deborah. Facciamo che io ti do i soldi e le dico che non posso, quindi tu la porti a fare colazione."
"Perchè dovrei farlo?" domandai perplesso.
"Perchè stai insieme a lei un po'! - rispose con ovvietà - Sei tu quello innamorato di lei, non io."
Io annuì e capii il suo piano.
"Sei un amore Gio, ti perdono se ti ho maledetto per l'orario in cui hai chiamato, sono in debito con te. Dieci minuti e sono da te a prendere i soldi, poi passo da Deborah. Nel frattempo tu scrivile e falle sapere che non puoi. Inventa una scusa."
"So che mi avresti ringraziato. Ci vediamo dopo bro."
"Ciao bro."
Riattaccai e mi alzai dal letto, quindi feci una doccia veloce e cercai qualcosa da mettere, nonostante alle 7.45 la connessione al cervello fosse scarsa.
Erano le otto passate da qualche minuto quando uscii di casa a bordo dell'auto e mi recai a casa di Giovanni, che mi aprì subito.
Indossava un paio di pantaloncini che sembravano il costume da piscina.
"Scusa ma tu dormi con le bermuda da bagno?" gli chiesi, mentre mi fece entrare in casa e si diresse verso il salone, dove prese il portafoglio per cercare i soldi.
"Che male c'è?" domandò innocentemente.
"Nessuno. - afferrai i dieci euro che mi aveva consegnato e li misi in tasca - Grazie Gio, davvero. Le hai scritto?"
"Sì, le ho scritto che non mi sentivo molto bene e che saresti passato tu da casa sua per le otto e mezza e l'avresti portata al bar." mi spiegò.
Adocchiai l'orologio e vidi le lancette segnare le otto e venti.
"Cazzo. - esclamai - Allora devo andare subito, ci vediamo Gio, grazie ancora!"
Mi recai alla porta in due falcate e uscii, quindi lui venne sulla porta a ricambiare il saluto e mi urlò, mentre stavo salendo in macchina:
"Mi raccomando, voglio essere il padrino dei piccoli Chiesa!"

Eccomi qui anche questa settimana! 💕
Non potete capire quanto sono in ansia per la partita di martedì!... 😍😥

𝐒𝐄𝐍𝐙𝐀 𝐒𝐎𝐅𝐅𝐑𝐈𝐑𝐄 || Federico ChiesaWhere stories live. Discover now