21. Scusate, ma la fame mi mangia

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E invece no. Ero ancora vivo. Grazie a Lola, ovviamente. Aveva aiutato il mio sangue a coagularsi e a formare una crosta enorme in tempi stretti (insomma, prima che morissi). Mentre gli altri stavano ancora lì a guardare, lei aveva agito con talmente tanta sicurezza…Come faccio a saperlo, eh? Beh, quando mi ha svegliato (ero quasi svenuto) mi ha detto per filo e per segno la dinamica dell’accaduto e ha aggiunto:
«Non ti preoccupare, vivrai abbastanza per assistere alle nozze di ‘sti qui»
«Ma io vorrei capire perché non mi sono accorto subito di aver battuto la testa contro quella roccia»
«In effetti, è strano… anche se non ti fossi accorto subito della tua ferita enorme, ti saresti dovuto almeno accorgere della roccia»
«So di aver battuto molto forte la testa ma non mi sembrava contro quel masso» Mi rialzai, lentamente, e mi appoggiai alla statua. Guardai l’ora: le quattro.
«Avrei voglia di un gelato…»
«Ma se ti sei divorato tre tavoli di dolci neanche quaranta minuti fa!»
«Ehi, in questi giorni non ho mangiato altro che cioccolatini e mentine, volevo un pasto decente»
«Strano che siano bastate»
«Ancora più strana è la fine della scorta di cioccolata della signora che mi ha ospitato fino a neanche una settimana fa…»
«Non ci credo. Le hai seriamente svuotato il deposito?»
«Probabile…»
«Quella cioccolata sarebbe dovuta durare un anno, non un paio di giorni!»
«Avevo fame» Ero sempre io. Affamato come sempre. Edgard portò Candace in disparte, probabilmente per discutere del loro imminente matrimonio. Dopo un paio di parole, già discutevano animatamente. Candace tornò vero di noi infuriata, dicendo:
«Noi torniamo a Downtown e organizziamo queste nozze!»
«Ma Candace…l’abbiamo in pugno!»
«No. Una promessa è una promessa. Ragazzi, voi potete restare qui quanto volete. Vi faremo sapere quando avremo deciso il luogo e la data» Poi si girò verso Edgard. «Muoviti. Apri il portale»
Edgard aprì uno squarcio nell’aria e lo allargò, formando una specie di ovale vorticante. Al suo interno, le stelle giravano seguendo una traiettoria a spirale. A quanto pare, l’ora cambia da dimensione a dimensione. Da noi era giorno, a Moonshine era notte piena. Candace entrò e trascinò con sé Edgard.
«Che bello! Niente più scemi nel gruppo e pista libera per me. Ormai Edgard è in minoranza, anche se riuscisse in qualche strano modo a recuperare le due gemme rimaste»
«No, perché questa qui ce l’ha lui»
«Ne sei sicura? Effettivamente, lui una gemma ce l’ha…peccato sia falsa…» Con un sorriso tirai fuori dalla maglietta la mia collana. C’erano sette gemme e l’Occhio.
«Perché sono otto?» mi chiese Alex.
«Perché sette sono le gemme che cerca Edgard, l’ottava è il famoso Occhio, quello che fino a poco tempo fa apparteneva alla Dama della Luce»
«È la prima volta che la chiami così»
«E sarà anche l’ultima. Quella stupida Elfa…non me la ricordare»
«Con quello puoi sapere ogni mossa di Edgard in anticipo, no?»
«Si. Secondo te come ho fatto finora per pianificare ogni singolo spostamento? Edgard crede che tutto questo viaggio faccia parte del suo piano. Gli ho leggermente modificato le idee e adesso sono io ad averlo in pugno. So esattamente cosa farà, e tutto quello che succederà è compreso nel mio piano. E questo matrimonio mi ha solo facilitato le cose»
«Ci stai incasinando i pensieri così»
«Rimango uno Stregone delle Tenebre. Se i miei piani non sono incasinati…»
«In effetti tante volte i piani più semplici falliscono…ma le probabilità di quelli complicati sono pari»
«Il mio piano è semplice, ma è ricco di piccoli dettagli che lo rendono complicato da capire agli altri. È questo il suo punto di forza. Solo io capisco se funziona e come funziona. Voi potete solo fare la vostra parte»
«Quindi che dobbiamo fare, signor capitano?»
«State al gioco. Allora…prima sono andato da una mia amica e stasera le spiego la sua parte del piano. Comunque, ora Edgard e Candace si sposano. E interrompono la ricerca. Io approfitto di questo lasso di tempo per recuperare le due gemme mancanti. Questa è stata l’ultima volta che Edgard mi ha visto come Stregone delle Tenebre. D’ora in poi, io sarò me»
«Fino a qui ci siamo» Lola si girò verso Alex e lui annuì.
«Bene. Se mi riesce, sarò presente alla cerimonia. Altrimenti, posticiperò la mia visita per il giorno dopo. Solo allora potrà cominciare la cosiddetta battaglia finale»
«Coglierai Edgard di sorpresa e lui sarà così spaesato che sarà una sciocchezza per te batterlo!»
«Esatto. Voi due…mi aiuterete, vero?»
«Certo. Cosa dobbiamo fare, quindi?» Alex cominciò a saltellare nervosamente sul posto.
«Alex, calmo. Te…devi solo coprire la mia improvvisa scomparsa in qualsiasi modo»
«Solo?! Sai che Edgard sarà difficile da convincere…»
«Naah. So che sei capace, o non te l’avrei chiesto. Lola, te prendi più posti di comando possibili»
«Già fatto. Edgard si fida così tanto di me…non appena comincerà a prepararsi per le nozze, affiderà temporaneamente i territori a qualcun altro…»
«Se li dà a te, è fantastico»
«E vai a cercare le gemme da solo?»
«Non che non sia capace…ma preferisco che ci sia qualcuno con me. Ovvero quella mia amica»
«E chi sarebbe questa tua amica? E perché sei dovuto andare ad Harrods?»
«Perché lavora lì. È ancora troppo presto per dirvi chi è…Adesso se volete restare un po’ qui, fate pure, ma io non ci metterò tanto a finire la nostra caccia al tesoro. Cercherò di prenderla con più calma…Ah, se incontrate Sue, ditele che deve assolutamente andare con la squadra ricerche che formerà Edgard»
«Come fai a sapere che Edgard formerà una squadra ricerche?»
«Ho i miei modi…» Diciamo che svenire per vedere il futuro non è uno dei miei modi preferiti, ma è molto funzionale. Soprattutto per incontrare due persone così importanti…prima o poi troverò un altro modo per parlare con i miei genitori. Ma in quel momento non era nella lista delle mie priorità. Se lasciavo distruggere il mondo ad Edgard, li avrei rivisti troppo presto…e non sarei potuto tornare indietro. Anche la prospettiva dell’ultima battaglia non era tanto meglio…Ma l’avrei dovuto fare. Mi sarei dovuto sacrificare per il bene del mondo. Dopotutto era divertente girare per le dimensioni, far infuriare i cattivi e poi scappare. Mi sarebbe mancato non poterlo fare…se mi succedeva come ai miei genitori, sarei morto, si, ma avrei continuato ad esistere, come loro. E avrei tanto, tanto tempo per ripensare al mio passato. Mi ci voleva decisamente una rinfrescata alle idee. Decisi di farmi una nuotata nel Tamigi. Nessuno si accorse di un ragazzo che si buttò nel fiume da uno dei tanti ponti di Londra. O forse sì. In breve era arrivata la polizia, ma nessuno mi trovò. Ero già a qualche centinaia di metri di distanza…In qualche strano modo, a Londra mi sentivo a casa. Mi mancava Downtown City, probabilmente perché ero consapevole del fatto che non esisteva praticamente più quella città come la intendevo io. Era un cumulo di macerie. Londra invece…era una città così attiva, così brulicante di gente…per le strade era facile vedere il contrasto tra autobus a due piani vecchi e automobili di lusso appena uscite in commercio. Piccoli negozi che vendono cose curiose e megastore delle marche più famose vicini, magari l’uno attaccato all’altro. Nella parte più a nord spesso c’erano mercatini, come Camden market, sulle quali bancarelle si trovava di tutto e di più. E poi, musei a non finire. Non sono un tipo che quando visita le città gira tutti i musei, ma alcuni erano interessanti…Sì, assomigliava decisamente a Downtown City. L’unica differenza era la presenza del palazzo reale. Una cosa simile a Buckingham Palace non c’era. Noi Harper, che abbiamo regnato molto a lungo, non abbiamo mai fatto costruire un palazzo. Forse, in precedenza, casa mia era una reggia, per via del giardino (non pensile) attorno alla base del grattacielo.
Dopo aver nuotato per ore nel Tamigi, mi venne fame. Di nuovo, sì. Il primo luogo che mi venne in mente era qualcosa intorno a Piccadilly, per arrivare facilmente a Oxford Circus alle nove. Arrivai a Leicester Square e vidi un Burger King dritto davanti a me. E il mio stomaco non ne volle più sapere. Avevo circa venti minuti per divorare due hamburger enormi.
Per la felicità di mia sorella, alle nove in punto ero alla fermata della metro che le avevo detto.
«Perché sei sempre puntuale e mai in anticipo?»
«Che problema hai?»
«No, niente, solo la festa di compleanno della mia migliore amica»
«Allora mi spiace dirti che te la perderai»
«Che mi devi dire di così importante?»
«Ho bisogno che tu venga con me»
«Scherzi?! Io non posso…no, posso, perché oggi era l’ultimo giorno poi ho le ferie, ma…non posso!»
«Perché? Ascolta…massimo due o tre giorni…poi sarà tutto finito. O almeno, te, se non puoi, te ne potrai andare»
«Dove devi andare? In quale dimensione?»
«A Parigi e a Roma»
«Ah. E perché devo venire?» Alzò le braccia, in segno che non capiva.
«Perché non ci posso andare da solo. Non me la sento»
«Tu…cosa?! Non te la senti?!»
«Per favore, sorellina…» Le feci la faccia supplicante con gli occhioni. Funziona sempre.
«Gli occhioni non funzionano con me…» Tre secondi dopo… «Ok vengo con te»
«Bene. Se non vuoi andare via ora, mi serve un posto dove dormire»
«Hai mangiato? Sì, hai mangiato. Hai la maionese negli angoli della bocca»
«E me lo dici così?» Mi pulii subito la maionese.
«Ascolta, a casa mia ci abita appunto la mia migliore amica e il suo ragazzo…»
«E ha fatto la festa lì»
«Esatto. Se ti va, vieni. Più che festa, è una cena a casa nostra con un paio di nostre amiche con pigiama party a seguire» Si infilò le mani in tasca.
«E non ce l’hai una stanza dove posso dormire in pace?» Socchiusi gli occhi. Non volevo che le risate e i gridolini mi disturbassero. E non volevo neanche ragazze che entrano nella mia stanza per vedere se sono carino o no e poi svengono ai piedi del letto.
«Se le urla e gli schiamazzi non ti danno noia…» Scrollò le spalle.
«Com’è il tetto?» tagliai corto.
«In che senso? Sopra ci sono altri appartamenti…» Mi guardò con aria interrogativa.
«Il tetto dell’edificio è a spiovente o a terrazza?»
«No, a terrazza…mica dormirai lì?» Sgranò gli occhi. Forse lei non aveva mai dormito sul tetto di un palazzo. Beh, non sa cosa si è persa.
«Se mi dai un paio di cuscini e una coperta sì»
«Non le puoi far apparire dal nulla?» Alzò gli occhi al cielo, evidentemente svogliata di darmi la sua roba.
«No. Non mi va. Però posso chiamare una mia amica…ti dà noia un drago sul tetto?»
«Se non incenerisce nulla, affare fatto» Questa volta non era sconvolta.
«Allora a domani mattina» Cercai in tasca il richiamo di Silver.
«Prima non vuoi andare a casa?»
«Giusto» Mia sorella mi portò a Battersea Park, dall’altra parte del Tamigi. Abitava in un appartamento facente parte di un complesso moderno, davanti ad un’entrata del parco. Le pareti erano inesistenti, tutte vetrate. Naturalmente, mi toccò andare dalle sue amiche. Mentre lei chiariva che eravamo cugini e le sue amiche insistevano perché secondo loro era una scusa e ero il suo ragazzo (non vorrei fare altro…era già tanto che mi fossi ricordato della sua esistenza), io mi ero infiltrato in cucina e avevo rubato due bottiglie di Coca – Cola, due o tre cannucce e una scodella. Mi stavo avviando alla porta, ignorando le amiche di Tess che dicevano: “Resta con noi, ti diverti” e lo sguardo dell’unico ragazzo presente lì che mi supplicava di portarlo via, quando mia sorella mi fermò:
«No, non dalle scale. La terrazza del tetto è tenuta sotto sorveglianza da quelli dell’ultimo piano. È di tutti, ma loro vogliono l’esclusiva…»
«E quindi? Come faccio? Sicuramente non volo» L’unica che mi prese sul serio fu Tess. Le altre pensarono che effettivamente fosse impossibile volare. Io invece intendevo che non avevo voglia di dimostrare a una decina di comuni mortali le mie doti magiche. Meglio così.
«Sai scalare le terrazze, no?»
«Scherzi, vero? Non ho voglia di fare parkour ora. Voglio dormire» Sbadigliai in pubblico. A quanto pare era un bellissimo spettacolo per le amiche di Tess, che replicarono:
«Ma è presto! Non puoi andare nel tetto, quindi devi restare qui»
«Ok, vada per le terrazze» In qualche strano modo, riuscii a saltare dal parapetto della terrazza di Tess senza cadere giù e aggrapparmi alla terrazza sopra, senza usare il più piccolo incantesimo. Probabilmente grazie alle mie straordinarie doti. Indipendentemente dalla magia, riesco a fare salti enormi e a lanciare qualsiasi cosa con una forza incredibile. Peccato che non riesco a piegare cose tipo il ferro con le mani…Comunque, scalai la montagna di vetro molto velocemente. Una volta sul tetto, decisi che era meglio non chiamare Silver. Poverina, sarebbe dovuta venire fino a lì solo per farmi dormire. E poi, avrebbe insospettito tanti mortali. Una cosa così enorme che si posa su un tetto di un edificio di vetro…il tetto forse non avrebbe neanche retto. Però avevo bisogno di compagnia. Non è ugualmente normale vedere una tigre bianca salire lassù, ma sicuramente meglio di un drago “nero”. La mia tigre si chiamava Arial, e l’avrei portata anche a Parigi e a Roma. Riusciva benissimo a trasformarsi in un gatto bianco tigrato molto peloso. Le bottiglie di Coca erano una per me e una per lei. La sua la misi nella scodella, con una cannuccia. Io bevvi direttamente dalla bottiglia. Quella che avanzava l’avrei portata come scorta in caso di vera emergenza cibo. La grande nuotata mi aveva stancato abbastanza, così mi addormentai sul fianco di Arial. A cosa serve una tigre domestica.

Moonshine I ~ Lo Stregone di FuocoWhere stories live. Discover now