11. Tranquilli, è solo sangue di Kolschov

0 0 0
                                    

Vidi da lontano un uomo robusto entrare in un bar insieme ad una ragazza castana e ad un’altra persona che non inquadrai bene perché aveva il cappuccio. Ottima idea, il cappuccio della felpa. Seguimmo quei tre dentro al locale. Guarda caso, avevamo beccato proprio Lola. Peccato che con lei non c’era Edgard, ma un incrocio tra un Golem e uno Stregone dell’aria. Stavano studiando una mappa enorme, e Lola indicava vari punti spiegando cosa erano. C’era troppa confusione, non riuscivo a sentire niente. Ad un certo punto quella sottospecie di Stregone – Golem si alzò per prendere un caffè, e io ne approfittai. Mi sedetti accanto all’altro ragazzo, che cercava di capire qualcosa di quella mappa guardandola (naturalmente) al contrario.
Lola mi guardò e sospirò:
«Sei intelligente, eh. Come hai fatto a trovarci?»
«Per caso. Per puro caso»
«Mettiamo che ti creda. Lui è Alex, lo dovresti conoscere»
«Cosa…? Aspetta… Alex Fuller?»
«Io ho detto solo Alex, te hai aggiunto il cognome»
«Eccome se lo conosco! È una vita che siamo amici…»
«Alex…cosa?! No… tu non puoi… non puoi essere Fuller» Il nostro caro amico Golem – Stregone era tornato. E aveva sentito i nostri discorsi. «Tu sei mio nipote, che vai a dire in giro?»
Lola mi guardò preoccupata, e capii il loro piccolo trucchetto. A quanto pare, il nipote di quell’ammasso di pietra e carne era molto simile ad Alex, così l’avevano ingannato. Ora ci mancava che scoprisse anche me…
«E tu chi sei invece, ragazzino?»
Provai a mimetizzarmi con il muro. Da quanto ero intelligente, avevo messo una felpa rosso fuoco, visibile a chilometri di distanza. A quel punto, non sapendo cosa rispondere, scivolai sotto al tavolo. Quando anche lui provò a entrare lì sotto, gli diedi un calcio e lo atterrai, facendo cadere la sua sedia all’indietro, poi scappai via. Fuori dal bar, per la via innevata, poi dentro un autobus, fuori dalla città. Salii sul primo autobus che passò e, grazie alla mia fortuna che non mi abbandona mai, passammo davanti allo stabilimento alimentare abbandonato dei Kolschov. Questo stabilimento era così importante perché una volta trovato è difficile capire dove si trova, e proprio grazie a ciò è stato scelto come nascondiglio per una delle gemme che stava cercando Edgard. Scendemmo al volo dall’autobus e entrammo dentro l’edificio. Era peggio delle gallerie della metro di Downtown City. La neve aveva fatto sprofondare gran parte del tetto, già pericolante di suo. I muri perdevano calcinacci e c’erano travi di legno e barre di acciaio ovunque. Era il regno delle ragnatele: gigantesche ragnatele andavano da una parte all’altra dell’edificio, impedendo di passare. Poi, c’era una tana di topi enormi, insetti schifosi dappertutto e muffa, muffa dovunque mi giravo. E pensare che un tempo era uno stabilimento alimentare, curato per bene e igienizzato al massimo! Dove non c’era la neve perché il tetto era ancora miracolosamente in piedi c’erano pozze di acqua stagnante, che puzzavano più delle stalle delle Streghe dell’aria.
«Raga dove posso vomitare?»
«Ehi Sammy, lo posso dire solo io “raga”, chiaro? E comunque, se vomiti in una in quelle pozze non se ne accorge nessuno»
«Matthew, a proposito. È l’abbreviativo di qualcosa, “raga”?» Sue e la sua ignoranza.
«Certo, di “ragazzi”. Adesso, chiudiamo ‘sta parentesi. Se non sbaglio, una gemma dovrebbe essere qui, da qualche parte»
«Qui…tra tutta questa sporcizia?»
«Già. E ancora non ci sono i rifiuti della gente»
«Per favore, dimmi che non bisogna ispezionare l’intero edificio palmo a palmo»
«No… Dovrei avere un incantesimo per fare prima. Il problema è che non so quale gemma è qui»
Cominciai a sfogliare il diario del babbo. La mamma mi disse, tempo fa, che aveva scritto tutto lì, e dovevo fare moltissima attenzione a non far finire tutte quelle informazioni in mani sbagliate.
«Perfetto. C’è anche scritto il punto esatto dov’è la gemma»
«Ovvero?»
«Non ve lo posso dire. Se ci dovesse essere qualcuno qui, che ascolta…»
Provai ad immaginare come potrebbe essere stato quel luogo. Era uno scatolone pieno di pentole, pentoloni e pentolini, chiuso in un angolo di una stanza al piano superiore. Poi, mi ritrovai di fronte quello scatolone. Ero nell’ufficio del capo dell’azienda. Davo le spalle alla porta, chiusa a chiave. Accanto avevo una scrivania con sopra varie carte ingiallite dal tempo. Davanti, la parete era piena di scatole e scatoloni, ma solo uno era quello giusto. Quello firmato “AH”, ovvero “Andrew Harper”. Nello scatolone davanti ai miei occhi c’era una minuscola firma del babbo, fatta con una penna rossa in un angolo. Per prendere quello scatolone mi caddero addosso tutti gli altri che lo soprastavano. Mi mancava proprio una doccia di polvere e qualche centinaia di pentole e stoviglie in caduta libera sulla mia testa. Grazie ai miei riflessi, bloccai le scatole con la telecinesi e le appoggiai a terra piano, per non fare il minimo rumore. Aprii lo scatolone con la massima cautela. Sollevai un paio di pentoloni e, dentro a un tegame con il coperchio, c’era una goccia rossa che brillava. Presi la collana dove avevo attaccato anche l’Occhio e ci misi quella gemma. Una era nostra. Senza quella, Edgard non poteva aprire il portale per la dimensione X. Purtroppo, con le altre gemme poteva fare tante altre cose terribili. Dovevo trovarle tutte, prima di lui. O comunque, impossessarmi di più gemme possibili. Erano in tutto 12. Dodici gemme colorate. E quella rossa non era che l’inizio.

Moonshine I ~ Lo Stregone di FuocoWhere stories live. Discover now