2- Il teschio con la rosa.

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Ricontrollo nuovamente l'orario: 8:22.

Ok, devo sbrigarmi.

Comincio a correre lungo il marciapiede fin quando non arrivo alle strisce pedonali.
La strada è più affollata del solito, le auto sfrecciano una dopo l'altra sull'asfalto; in lontananza verso l'incrocio, si sente il suono prepotente dei clacson e qualche imprecazione da parte di alcuni dei proprietari delle auto. Anche il marciapiede è affollato; un gruppo di bambini, con lo zaino in spalla, ridono di gusto. Alle loro spalle, qualche metro più indietro, le madri dei bambini parlano tra loro e, ogni tanto, richiamano i bambini per non farli allontanare troppo.

L'omino del semaforo si illumina di verde, cammino lungo le strisce pedonali e continuo dritto per la strada. Oltrepassata la farmacia, riprendo a correre più veloce di prima.

Devo sbrigarmi o non farò in tempo...

Decido di svoltare a sinistra e di prendere una scorciatoia che avevo scoperto per caso qualche giorno prima avventurandomi per la città. Percorro la scorciatoia e dopo qualche minuto arrivo finalmente al campetto da basket abbandonato che prima apparteneva alla scuola.
Da quello che ho saputo dai miei compagni di classe, ormai non viene utilizzato da anni e l'avevano lasciato così, rovinato, le strisce bianche dei confini del campo scolorite, l'erba intorno incolta.
Mi avvicino al campo ancora ansimante per la corsa appena fatta.

«Elvis? Dove sei? Esci fuori.» 
Mi guardo intorno e alla fine lo vedo sbucare pian piano da dietro il campo, si ferma, rizza le orecchie, tira su la coda muovendola prima verso destra e poi verso sinistra ed emette un miagolio sottile.

Non sono mai stato un amante dei gatti ma quando qualche giorno prima, mentre mi incamminavo verso la scuola, mi sono trovato davanti questa piccola palla di pelo nero lucente che mi si strusciava sui piedi cercando attenzioni, non sono riuscito a ignorarlo, e così, senza rendermene conto, ho finito anche per dargli un nome e venire qui tutte le mattine per portargli da mangiare.

Mi avvicino e mi inginocchio davanti a lui. Elvis emette un altro miagolio e struscia il suo pelo color carbone sulle mie ginocchia.
Tolgo prima da una spalla, e poi dall'altra, lo zaino e mi metto a cercare al suo interno. Tiro fuori due ciotole di plastica, la mia bottiglietta d'acqua e una bustina di cibo per gatti. 
Elvis mi osserva con i suoi grandi occhi verdi e miagola nuovamente.

In una delle due ciotole verso un po' d'acqua dalla mia bottiglietta e dopo aver aperto la bustina, ne faccio cadere il contenuto nell'altra ciotola. Elvis si avvicina e comincia a mangiare voracemente. 

 «Qualcuno aveva fame, eh?»  lo guardo mangiare e sorrido leggermente.
 «Non puoi continuare a stare qui, qualcuno dovrebbe portarti a casa.»
Il mio sorriso si trasforma in un'espressione malinconica.

Avevo pensato di portarlo a casa mia ma a causa dell'allergia al pelo del gatto di mio padre ho dovuto rinunciare. Ho chiesto anche ai miei compagni se ci fosse qualcuno che avesse potuto occuparsi di lui, ma non sono riuscito a risolvere nulla.

Sento la campanella della scuola suonare e mi rendo conto che è arrivato il momento di salutare Elvis.

«Devo andare...» 

Accarezzo Elvis con il dorso della mano, mi rimetto in piedi e riprendo poi il mio zaino.
Prima di andare verso la scuola rivolgo un'ultima occhiata in direzione di Elvis che è ancora intento a mangiare e sorrido spontaneamente. 

Accidenti a me che mi affeziono così facilmente..

Dirigo lo sguardo verso il marciapiede dall'altra parte della strada e noto subito Riccardo, rimanendone inevitabilmente sorpreso. 

Vorrei solo starti accanto. (In Revisione) Where stories live. Discover now