71. L'isola che non c'è

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Canzone per il capitolo:

L'isola che non c'è – Edoardo Bennato

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Sara

« Ehi... » Per la terza volta, Leonard è costretto a richiamarmi dai pensieri che mi tengono costantemente lontana. « A cosa stai pensando? »

« A niente in particolare », mento fingendomi serena.

La stanza del motel, nella quale ha soggiornato in questi ultime settimane, è ora illuminata soltanto dalla lampada appoggiata sul comodino. Con l'arrivo della notte, ormai mancano poche ore alla sua partenza: domani mattina salirà sull'aereo, tornerà a casa sua per riprendere con la sua vita e gli esami in università. Non so quando ci rivedremo di nuovo e io... io non so bene quale emozione provare.

« Non ti dispiace nemmeno un po' che io parta? »

« Certo che mi dispiace », lo rassicuro con la verità. « Stavo pensando proprio a questo. »

« Ti ho già detto che puoi venire da me quando vuoi. Con l'aereo non sarà difficile vederci spesso. »

Coricati sopra le lenzuola, Leonard mi sovrasta, guardandomi con gli occhi castani e dolci che lo caratterizzano. Sorride per incoraggiarmi, le guance si gonfiano un poco e ricordano il dolce bambino che deve essere stato diversi anni fa, il Peter Pan dei miei sogni. « Lo so... ma il volo, e il soggiorno... lo sai che non ho molti soldi disponibili. »

« Ti pagherei io il viaggio e staresti a casa mia. Non c'è nessun problema e i miei genitori sarebbero felicissimi di conoscerti. »

Qualcosa mi preme sul petto, ma non riesco a comprenderne la natura. « Io... non lo so. Sono sincera: non mi piace l'idea di dover dipendere economicamente da qualcuno. »

« Se questo è il prezzo per rivederci il prima possibile, non saresti disposta a pagarlo? »

Provo a rendergli lo stesso sorriso colmo di entusiasmo, ma da troppi mesi a questa parte il mio repertorio di espressioni facciali sembra essersi ridotto all'osso. Tiro le labbra, ma non so quale smorfia ne esca fuori. « Penso di sì. »

Lenny si abbassa un poco per riuscire a raggiungermi e unire di nuovo le nostre labbra, per riprendere l'attività che abbiamo portato avanti da quasi un'ora a questa parte. Di tanto in tanto le sue mani sono scese a cercare la mia pelle sotto i vestiti, nel tentativo di approfondire quel rapporto che io ancora mi ostino a mantenere solo al livello della superficie. Lo fermo quando le sue carezze si spingono troppo in là.

« Lasciati andare... » mi incita all'orecchio quando la mia mano corre a trattenere la sua, improvvisamente intrufolata nei pantaloni.

Provo a resistere, ma non ci riesco e alla fine mi sollevo a sedere sul letto. « Scusami, Lenny. »

Il suo sospiro è energico, anche se paziente. « Per la miseria, è l'ultima sera in cui possiamo stare insieme. Non ti lasci mai toccare e... io ti ho aspettata perché credevo che avessi bisogno di tempo per ciò che è successo a tuo padre, ma ora non capisco che cosa ti passi per la testa. Ho fatto qualcosa di sbagliato? »

« Non è colpa tua », provo a rassicurarlo.

« E allora di chi è la colpa? » insiste. « Siamo in due in questa situazione, Sara, quindi il cerchio si restringe. »

Non è arrabbiato; Leonard sembra incapace di provare rabbia, eppure l'ennesimo rifiuto non lo lascia più indifferente. So bene che lui detenga ogni parte della ragione, che a vent'anni un ragazzo e una ragazza dovrebbero scalpitare per gettarsi tra le lenzuola e abbandonare i semplici baci per raggiungere qualcosa di più, ma non so come rendere a parole cosa mi frulli nella testa senza ferirlo.

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