46. The Times They Are A Changin'

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Canzone per il capitolo:

The times they are a changin' – Bob Dylan

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Christian

Per buona parte del pomeriggio mi costringo a studiare per non pensare ad altro... Fondamentalmente per non pensare a lei.

Fin dai tempi del liceo, io e Scott non siamo mai stati due accaniti studiosi, e lui sicuramente lo è meno di me. Il fatto è che, mentre io sono costretto a sgobbare sui libri per ore per avere indietro il riconoscimento che mi spetto, Scott ha sempre faticato la metà per avere un rendimento di gran lunga migliore. Per fortuna, studiare non mi è mai pesato troppo e mi ha sempre permesso di estraniarmi dal resto del mondo quando non potevo farlo con la mia musica; concentrarmi per me non è mai stato un grosso problema.

Tranne che questo fottutissimo giorno.

Dopo aver impiegato quasi un'ora a leggere la stessa identica pagina di appunti scritti, e dopo aver preso il telefono in mano per poi posarlo e ripetere il medesimo gesto almeno otto volte, indeciso se chiamarla, mi rendo conto di perdere del tempo inutile. Continuo a leggere e rileggere le stesse righe più volte, ma nulla mi rimane nella testa. Fingo di non capire il motivo della mia scarsa concentrazione, di non afferrare di chi sia la vocina che continua a sussurrarmi nella testa. Poi, alla fine, quando chiudo il quaderno pieno zeppo dei piccoli riassunti in inglese scritti da Sara – un modo che aveva trovato per aiutarmi nello studio, visto che non sarei mai riuscito a prepararmi per un esame studiando su di un intero libro scritto in italiano -, non posso più chiudere gli occhi.

La vocina che non mi lascia tregua è il maledetto senso di colpa e ciò che mi sta dicendo è che ho esagerato con lei e che il mio essere impulsivo mi ha portato a fare una cazzata per l'ennesima volta. Purtroppo per me, questa non è una novità.

Non ci posso fare nulla, fa parte del mio carattere e da sempre mia madre e i miei amici se ne sono lamentati: sono precipitoso e sconsiderato, rispondo nel peggiore dei modi se attaccato e, quando punto nell'orgoglio, reagisco ancora peggio. Poi me ne pento, ma di solito il pentimento arriva quando ormai è troppo tardi.

Più passano gli anni e più mi rendo conto di somigliare troppo a mio padre. E io non voglio, in alcun modo: essere uguale a quella feccia d'uomo sarebbe l'insulto peggiore. Quando mia madre si arrabbia con me, ecco che me lo sputa addosso ogni volta: sei proprio come tuo padre.

Ricordo poco della vita trascorsa a casa insieme, prima che lui se ne andasse via. Quando i miei hanno divorziato io avevo otto anni e i ricordi con mio padre sono per lo più offuscati da un pesante velo di rabbia e rancore che ancora provo nei suoi confronti. Da allora le volte in cui ci siamo incontrati ancora credo che si possano contare sulle dita di una mano. Cerco di evitare quell'uomo il più possibile.

« Chris, le ragazze stasera ci hanno invitato a mangiare di sotto », Scott entra in camera con la sigaretta pinzata nell'angolo delle labbra, in boxer e a piedi nudi, così come gira per l'appartamento praticamente per la totalità del suo tempo libero. « Ci vieni? »

Seduto sul letto a gambe incrociate, alzo un sopracciglio nello squadrarlo con l'evidente scopo di rispondere al mio amico senza l'aiuto delle parole, e per fortuna lui recepisce al volo. « Ok, afferrato. Dirò che avevi da fare. »

Di certo, non ho alcuna intenzione di passare le ore di stasera a vedere quell'idiota arrivato da oltre la Manica continuare a toccarla come ha fatto oggi.

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