22. La missione

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Tornai a casa per farmi una doccia e al mio arrivo trovai una persona ad aspettarmi.

Corrugai la fronte, inarcai le sopracciglia e serrai la mandibola.
Chiusi la porta sbattendola.
L'uomo scese dallo sgabello della cucina e mi venne incontro.

«Da quanto tempo, Lewis» mi porse una mano.

Non gliela strinsi.

«Cosa ci fa lei qui» dissi a denti stretti.
L'uomo nascose un sorriso e portò le mani dietro la schiena.
«Devo parlarle» alzò il mento.

«E riguardo a cosa?» incrociai le braccia.

«Ci sono vari motivi per cui sono qui, ma uno solo è davvero importante» continuò.

Guardai oltre le sue spalle, cercando gli altri componenti del gruppo, ma con mia grande sorpresa constatai di essere solo con il signore qui presente.

È incredibile quanto sia ironica la sorte; quando vuoi stare solo ci sono sempre tutti in casa, ma quando hai bisogno di loro, non ci sono mai.

«Potrebbe aspettare qualche secondo, dovrei cambiarmi i vestiti bagnati» indicai i pantaloni ancora umidi.
L'uomo annuì e mi fece spazio per poter passare.

Algernold Chapman. Uno dei pezzi grossi della Bilancia, una sezione del Paradiso simile ad un tribunale o centrale di polizia.
La Bilancia ha tutto sotto controllo ed interviene spesso nelle divergenze tra il Sopra e il Sotto. È una parte neutra, imparziale.

Algernold era un membro di questa associazione e anche abbastanza importante; era un giudice, ma amava investigare perciò si muoveva come spia: non a caso, negli ultimi tempi, era stato eletto Presidente della Spy Celesty (simile ai servizi segreti degli umani come la Cia americana).

Algernold mi conosceva bene grazie ai vari casini commessi durante la mia permanenza terrena, ma ero convinto che da quando fossimo arrivati ad Orlando, avessimo tutte le carte apposto... o almeno credevo.

Mi feci una veloce doccia e indossai subito una T-shirt grigia e un paio di jeans del medesimo colore; non badai ad asciugarmi i capelli, ma mi limitai solo a passarmi un asciugamano sulla testa.

Raggiunsi l'ospite che mi stava aspettando nel salone il prima possibile, anche perché non mi andava giù l'idea di lasciarlo solo a frugare tra le nostre cose.

«Spero di non averla fatta aspettare troppo» attirai la sua attenzione facendolo sussultare mentre ficcava il naso nei cassetti del grande comò.

«Oh no, assolutamente» si aggiustò il colletto della camicia e concentrò il suo sguardo su di me.

«Bene» lo invitai con una mano a sedersi sul divano.

Annuì e si accomodò, lo imitai.
Avevo ancora gli occhi ridotti a due fessure.

«Perché è qui?» pensai fosse meglio andare dritti al punto.

Algernold si tolse il cappello dalla testa e lo poggiò sulle ginocchia.
«In quest'ultimo periodo ci sono state delle novità, da queste parti» si solleticò il pizzetto.

«Qualsiasi cosa sia accaduto, non è per opera nostra» chiarii subito.

Non volevo avere problemi, soprattutto con la Bilancia. Per quanto sia precisa e imparziale, non è il posto in cui nascondere i propri segreti: non bisogna fidarsi di quelle persone, hanno pur sempre la puzza sotto al naso.

Algernold si schiarì la voce.
«Come state messi con la licenza?» chiese di punto in bianco.

«Bene, l'abbiamo rinnovata appena è scaduta» alzai il mento, fiero di averlo messo a tacere.

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