18. Insonnia

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Stavamo tornando a casa con un braccio rotto, un sopracciglio spaccato e borsa per il ghiaccio.

Sì, Al e Caleb ne avevano combinato una delle loro...

Quando il biondo mi aveva telefonato sulla spiaggia, era per avvisarmi di intervenire poiché Caleb aveva fatto a botte con alcuni tizzi sbronzi, che a quanto pare erano i parenti della riccia infuocata e, Al non era riuscito a far altro che ricevere un cazzotto in faccia, mentre Caleb si era procurato una frattura al braccio.

Li ho presi entrambi "per le orecchie" e li ho trascinati in macchina.

«Cosa diamine è successo?!» urlò Melissa nel vederci entrare.

Corse verso di noi con una maschera verde sul volto, una vestaglia rosa cipria e con le unghia di un piede colorate di viola, mentre l'altro era ancora incompleto (entrambi muniti di striscette per separare le dita).

«Una stupida rissa, nulla di che. Meli corri a prendere le fasce nel set di pronto soccorso» dissi mentre accompagnavo Caleb sul divano, facendolo appoggiare su di me.

«Abbiamo una cassetta di pronto soccorso?» mi guardò stupita.

«CORRI!» le urlai contro. Lei scattò e corse nel bagno alla ricerca di ciò che le avevo chiesto.

Al, invece, stava cambiando il ghiaccio della borsetta in cucina, il suo taglio non era nulla di che, ma il livido era davvero brutto.

Appena ebbi aiutato Caleb a sedersi, lui imprecò e decisi di tapparmi mentalmente le orecchie per quello che uscì dalla sua bocca.

«Eccole!» gridò Melissa correndo verso di noi.

«Eccole» ripeté col fiatone.

Le presi e le avvolsi attorno al braccio del mio amico.

«Tra un paio d'ore starai meglio» lo rassicurai.

Eh sì, queste ferite da mortali non ci fanno nulla; noi angeli riusciamo a guarire in fretta, e per un osso spezzato... ci vogliono solo delle orette.

Melissa era rimasta con Caleb, ogni tanto gli rinfrescava la fronte accaldata con una pezza fredda.

Povero Caleb, per quanto possa guarire in fretta, non vuol dire che non senta dolore.

Presi il mio pacco di sigarette e uscii per farmi un giro.

«Dove vai?»

Mi girai di scatto e notai Al con l'occhio gonfio e nero osservarmi dalla porta.

«Da nessuna parte» buttai per terra la cicca che avevo appena acceso e, dopo averla calpestata col piede, rientrai in casa.

Era circa l'una di notte e stavo osservando il soffitto della mia camera.

Non avevo mai amato dormire, e per secoli non l'avevo fatto... ma da quando avevo incontrato Cate, mi addormentavo solo per il piacere di sognarla.

Non so se per Al fosse lo stesso, ma sta di fatto che potrei quasi scambiarlo per un umano per quanto dorme.

Mentre stavo sul letto, a farmi compagnia con il suo meraviglioso russare in sottofondo c'era proprio lui: il mio pazzo e biondissimo migliore amico.

Stava dormendo sul divanetto affianco al mio letto, con un braccio sul cuscino dove poggiava la testa e l'altro a penzoloni che toccava a terra.
Il suo russare mi stava davvero toccando i nervi.

Presi un cuscino e glielo lanciai in faccia.

Lui non si scompose di un millimetro e, infastidito, si girò sul lato opposto.
Soffocai una risata.

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