14. Chiarezza

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Dopo la chiacchierata con Amanda ero tornato a casa. Sì, è vero: le avevo promesso di parlare con Cate, ma dovevo rifletterci un po' su...
Avevo mille pensieri per la mente...

Stavo ascoltando la musica nella mia camera, quando all'improvviso entrò Caleb con la sua faccia di cazzo.
«Che vuoi?» mugugnai.
Lui richiuse la porta e si appoggiò al muro.
«Tu e Catherine avete chiuso?» aveva un sorriso stronzo stampato sulla faccia; un'improvvisa voglia di spaccargliela mi persuase.
«Togli quel sorrisetto da ebete che hai sul volto. Non vuole più vedere NESSUNO di noi» ringhiai.
Lui rise compiaciuto alla mia affermazione.
«Non mi sembra. Oggi sono andato da lei e, non mi ha cacciato fuori di casa, anzi abbiamo passato un bel po' di tempo insieme. Ci siamo divertiti, a te l'immaginazione...» sorrise maliziosamente.
Drighignai i denti e strinsi i pugni. Non doveva neanche azzardarsi a toccarla con un dito.
Spensi la musica e mi alzai in piedi.
«Che cosa vuoi Caleb?» sputai, a mezzo centimetro dalla sua faccia.
«Nulla, solo avvisarti che sto avanti di qualche punto e, poiché sono un bravo avversario e soprattutto uno dei tuoi migliori amici, a consigliarti di sbrigarti a fare pace con lei... voglio giocare onestamente IO.» a quel punto mi trattenni dal sferrargli un pugno in faccia.
«Ah» continuò con una smorfia «Te lo dico anche perché la prossima volta che la incontrerò, preferirei parlare di altro a parte te e il tuo atteggiamento da menefreghista, anche se mi aiuta molto a consolarla. Non sai che emozione provo quando si lascia abbracciare mentre piange per te» il suo sorriso era diventato davvero maligno.
Non potevo accettare tutto ciò. Perché Caleb mi faceva questo? Non aveva completamente senso!
«Caleb faresti meglio ad uscire di qui. ADESSO» dissi con aria minacciosa.
Lui, ancora sorridendo, alzò le mani in segno di resa e uscì dalla stanza.
Mi buttai a peso morto sul letto e urlai sul cuscino, tenendolo stretto sul volto.
Ero davvero distrutto. Caleb mi aveva dato il colpo di grazia.
Dopo circa un quarto d'ora, decisi di affrontare Catherine e di raccontarle la verità. Non potevo continuare in questo modo, e solo il pensiero delle manacce di Caleb su di lei mi urtava i nervi.

Una volta raggiunto il vialetto di casa sua, atterrai sul tetto. Feci alcuni respiri profondi e saltai giù, cadendo con i piedi sulla veranda.
Rimasi immobile per alcuni istanti, poi mi decisi e bussai.
All'inizio nessuno rispose, ma poco dopo una voce femminile mi chiese chi fossi. Risposi che ero un amico di Catherine e la donna aprì.
Era bassa e pienotta, con una faccia abbastanza paffutella; i capelli corti, mossi e castani le cotonavano il volto.
«Salve signora. Cate è in casa?» chiesi un po' a disagio.
«Certo, solo che al momento è occupata. Se vuoi puoi aspettarla nel salone, non ci metterà molto» mi invitò ad entrare.
«Grazie mille signora, ma non vorrei disturbare...»
«Oh ma figurati. Prego entra. Preferisci qualcosa? Posso farti una cioccolata calda, fa molto freddo qui fuori».
Solo in quel momento mi resi conto che la donna stava guardando le mie braccia scoperte con almeno meno due gradi all'incirca. Mi maledii da solo, avrei dovuto pensare a coprirmi, ma poiché non sento né caldo e né freddo... mi ero lasciato distrarre da tutto il resto.
Mi sedetti su una poltrona mente la donna era corsa in cucina a prepararmi una calda bevanda.
Mi sentivo fuori posto.
Ecco, però, che scese Catherine. Aveva i capelli sciolti, un maglione di kashmir (credo) di circa due taglie più grandi e un leggins nero; non era truccata e aveva il viso spento.
Ebbi un colpo al cuore nel vederla in quello stato.
Quando incrociò il mio sguardo, si bloccò sulle scale e spalancò gli occhi.
Io mi alzai, ma non la raggiunsi... non volevo spaventarla.
La donna uscì dalla cucina e salutò la figlia, poi mi portò un vassoio con due tazze.
«Vieni Cate. Non vorrai far aspettare il tuo amico» la donna le fece segno di entrare.
Cate deglutì e scese lentamente gli ultimi gradini, poi entrò in stanza, sempre stando sulle sue.
«Vi lascio soli» la signora uscì e chiuse la porta.
«Hey...» dissi portandomi una mano dietro il collo.
Lei si limitò ad un lieve cenno.
«Co-come stai?» balbettai.
Che figura del cavolo.
«Non c'è male» disse lei con lo sguardo basso.
«Bene» risposi guardandomi le mani.
«Perché sei... venuto qui?» mi chiese dopo aver preso un po' di coraggio.
Mi sedetti di nuovo. Ecco, era arrivato il momento della verità.
Dovevo raccontarle tutto, per filo e per segno... altrimenti l'avrei persa per sempre.
«Cate... io ti ho mentito. Dal primo momento che ti ho visto. Ti ho nascosto la mia vera natura. Io non sono umano, ma un demone»
Alzai lo sguardo per osservarla e notai la sua espressione sorpresa.
«Un... che?» le tremavano le mani, ma cercava di controllarsi infatti rafforzò il tono di voce e nascose le mani nelle maniche del maglione.
«Demone. Figlio del demonio» avevo lo sguardo freddo, impenetrabile.
Lei schiuse la bocca per prendere un gran respiro. Aveva gli occhi lucidi.
«Demone del tipo... immortale, denti aguzzi, corpo mutabile, occhi rossi... quella roba lì?» trattene un singhiozzo. Era spaventata.
«No, no. Non quel tipo... di mostro. No, assolutamente. Che orrore.» corrugai la fronte al solo pensiero di quegli esseri infernali.
Lei emanò un sospiro di sollievo, ma non era del tutto tranquilla.
«Catherine sono un angelo caduto, schierato dalla parte del male, ecco... hai una Bibbia?» chiesi.
Lei annuì e si alzò per prenderla da un cassetto della credenza.
«Qui siamo cattolici. Ne abbiamo molte» disse lei.
«Bene, sarà molto più semplice spiegartelo allora» affermai.
Lei mi porse il Grande Libro e io cercai il passo della Caduta.
«Sai quando alcuni angeli caddero dal Paradiso sulla Terra, poiché non avevano preso una scelta? Quando non avevano deciso da che parte schierarsi, ovvero Paradiso e Inferno?»
Lei annuì e si sedette al mio fianco.
«Bene, io sono uno di quelli... insieme ad Al, Amanda, Melissa e tutti gli altri che hai conosciuto. Siamo i Caduti e ognuno di noi, col passare del tempo ha deciso da che parte stare; lo si capisce dal colore delle ali: dorate per i dannati e argentee per i beati. Le mie ali sono... dorate» alzai lo sguardo e incrociai i suoi occhi color nocciola. Mi mancava il loro luccichio.
«Quindi... hai scelto Lucifero?» ragionò.
«Sì» risposi, con un filo di amarezza nella voce.
«Mi dispiace Cate. Di averti mentito, di averti fatto del male, di tutto. È colpa mia se ora stai soffrendo e me ne prendo le conseguenze. Mi spiace un casino, non avrei mai dovuto lasciare che il mio cuore prendesse il sopravvento. Dovevo stare al mio posto e farti vivere davvero. Io ti ho amato Catherine e continuerò a farlo, anche se non mi vorrai più. Ma mi sta bene, me lo merito» abbassai lo sguardo e allungai un leggero sorriso. Ero riuscito a dire tutto.
Catherine non rispose, poi mise una sua mano sul mio petto, in corrispondenza del mio cuore.
«Batte» disse.
Aveva la mano fredda, ma vellutata. Il suo tocco mi fece rabbrividire, e instintivamente portai la mia mano sulla sua.
«Batte per te» sorrisi.
Lei mi guardò e arrossì leggermente.
Si avvicinò a me, con cautela. Era ad un respiro dalla mia faccia, guardava la mia bocca: «Non ho mai smesso di amarti, Lewis. E non smetterò certo adesso»  all'improvviso unì le sue labbra carnose e morbide, sulle mie. Le sue labbra danzavano sulle mie e quando le aprì per lasciare spazio alla mia lingua, toccai il cielo: gustai ogni centimetro della sua bocca, aveva un sapore meraviglioso.
Poi le morsi il labbro inferiore e lei gemette. Continuai a baciarla appassionatamente, dopodiché ci staccammo per prendere fiato.
Aprii gli occhi e lei fece lo stesso.
«Mi eri mancata un casino» dissi.
«Damon...» mi chiamò.
«Mmh?»
«Ti amo. Non importa cosa tu sia, né con chi decidi di stare. Basta che non mi lasci mai più. Intesi?»
Annuii stringendola a me.
«E comunque sì. Anche tu mi sei mancato».

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