12. Pensieri nella notte

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«C-Cather-rine» balbettai.
Lei non riusciva a staccare gli occhi da Al, che nel frattempo la guardava preoccupato tenendo per mano Amanda, anch'essa in ansia.
Mi avvicinai a Cate e cercai di afferrarle una mano, ma appena la sfioriai lei si scostò.
Mi guardò in faccia e vedi il terrore nei suoi occhi.
«Catherine sono io. Non avere paura» la rassicurai, cauto.
Fece alcuni passi indietro, spaventata.
«Catherine non...» cercai di fermarla, ma venni interrotto dai suoi singhiozzi.
«Cosa... sei?» chiese, invasa dai tremolii.
Fu solo in quel momento che realizzai: il bagliore dorato che stava illuminando la stanza non era dovuto solo alle ali di Al, ma anche dalle mie.
Pensai che le avessi liberate nell'attimo dopo che ebbi sferrato il pugno a Louis, quando mi aveva chiamato per la seconda volta "demonio". Ma era quello che ero: un demone.
Allungai una mano verso di lei.
«Catherine...» sospirai.
«Sta lontano da me!» urlò tra le lacrime e, corse via.

«Damon non devi fartene una colpa, in fondo non ha mai visto un angelo in vita sua: è una novità. Vedrai che quando le darai spiegazioni, capir...»
«No» interruppi Al.
«Come.... cosa?» il biondo si girò stupito, poi continuò a guardare la strada tenendo il volante.
«Non le darò spiegazioni, perché non la rivedrò più» dissi immobile guardando dritto davanti a me.
«Ma...» obbiettò Al, ma si bloccò capendo che ormai avevo preso una decisione ferrea.
Annuì senza dire niente.

Era sera, i ragazzi erano dentro casa mentre io mi trovavo fuori in terrazza ad osservare il cielo.
Se non fosse stata la mia vera natura a rovinarmi la vita con Cate, probabilmente sarei già volato tra le stelle...
Sono stato uno stupido ad aver lasciato che Catherine, un'umana, si avvicinasse a me. Sapevo che sarebbe stato un errore, non solo perché prima o poi (volendo o non) le avrei fatto del male, ma anche perché sarebbe stata impossibile una relazione. Sono stato un vero e proprio egoista, e le ho procurato dolore illudendola e facendola interessare a me.
«Hey. Come va?» mi chiese Al fermo sull'uscio della porta.
«Bene» risposi, ma tutto andava tranne che bene.
«Eddai Damon. Sappiamo benissimo che ti conosco alla grande, anche quando menti!» scherzò.
Io sorrisi. Al c'è sempre stato per me.
Si sedette su una sedia vicino a me, con i gomiti sulle ginocchia.
«Avanti, sul serio... come va?» ripeté.
«Come vuoi che vada...» sospirai.
«Non vuoi proprio parlarne con lei?»
«E a cosa servirebbe? Ormai è spaventata da me, da noi. E poi dopo tutto il casino successo a casa di Louis...»
«Non pensare a quei cretini! Lasciali perdere, è colpa loro se ora non riesci a rivederla» ammiccò lui.
«Ti sbagli. La colpa è solo mia, non avrei mai dovuto avvicinarmi a Catherine, non avrei dovuto permettere che provasse dei sentimenti per me. Io sono dannato, lei no»
Al sospirò.
«Damon, non devi tormentarti per aver provato ad amare qualcuno: tutti ne hanno bisogno, prima o poi, angeli e non; l'amore... fa parte di noi. Non devi privarti delle tue emozioni e, non... dannarti per essere quello che sei! Perché non sei affatto un mostro: ma il migliore amico che abbia mai potuto avere e non potevo chiedere di meglio» Al mi sorrise.
Mi si illuminarono gli occhi e mi alzai per abbracciarlo.
«Grazie... fratello»
«Grazie a te» rispose lui.

Quella notte mi sentii davvero vuoto, come se un pezzo di me si fosse staccato.
Catherine mi mancava, non potevo negarlo, e questa cosa mi faceva male.
Anche se soffrivo, non potevo commettere di nuovo lo stesso errore: era giusto così, lei doveva vivere la sua vita, lontana da me e dal mio mondo.
Catherine Harris doveva uscire dalla mia esistenza.

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