Legami da recidere (parte due)

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Il dottor McCallister non è così male. Uno psichiatra che sa il fatto suo, insomma. Alto, stempiato e con la mania di vedere un concetto di metafisico anche nelle stronzate più assurde. È stato lui a dirmi di provare a conoscere meglio mio zio, e sono stata io a ignorarlo. Gli piace parlare molto, e vorrebbe che parlassi anche io, ma per lo più sto in silenzio, e per lo più lui colma la mia mancanza di conversazione con i suoi monologhi. Soprattutto quando si tratta di cose già dette. La morte della mamma. Il mio scatto d'ira. La violenza. E tutte quelle altre cagate pazzesche a cui non do mai un senso.

Oggi è una di quelle volte dove ci concentriamo sul passato. Una di quelle volte che odio più in assoluto. McCallister, alias Dottor Pazzo, mi chiede di parlarmi di com'ero prima che la mamma morisse, di come stavo quando era tutto okay, tutto nella norma. Non so che dirgli, perciò mi limito con le solite baggianate alla "si stava meglio quando si stava peggio", quasi fossi una vecchia ottantenne che critica lo stile di vita dei giovani di oggi. Ma lui mi ascolta, e mi chiede cosa mi manchi più di quella vita, e allora io rispondo "casa".

<<Ma cos'è "casa" per te, Aleksandra>> mi domanda lui, seduto sulla sua poltrona.

<<E' casa>> rispondo di nuovo, sul divano.

<<Sì, ma cosa è? È un posto, un luogo? O sono le persone. Casa tua è casa tua perché c'erano tua madre o tuo fratello? Oppure sono i ricordi che conservi di loro?>>

E io gli rispondo che non lo so, non lo so davvero. E forse per colpa della mia ultima conversazione con Stoccafisso King inizio a parlare più del solito, e gli dico che per me casa era tornare da scuola e sentire odore di sigaretta e pipì e di alcool, e vedere mia madre provare a cucinare senza successo, e aiutare mio fratello con i compiti e poi fingere di avere una vita uscendo il sabato sera con Veronica andandocene in giro per la città come se ci appartenesse. Casa, insomma.

Lui ascolta, ascolta tanto. Gli piace farlo. Un mondo. Non mi sorprende che faccia lo strizzacervelli per lavoro. Ascolta quanto parla. Quindi un sacco. Mi chiede se la mia casa sia scomparsa, visto che mi manca, gli rispondo che no, non è scomparsa, ma che è come se si fosse incrinata. Tutte queste metafore mi stanno facendo venire il mal di testa. <<La casa è incrinata nel senso che è rovinata?>>

Annuisco piano.

<<E chi l'ha rovinata, Sasha?>>

Rispondo con una facilità che non mi aspettavo. <<La mamma. Quando è morta. Quando se n'è andata.>>

<<La colpevolizzi per questo?>>

Scuoto la testa. <<No, ma mi fa incazzare. È proprio questo il punto. La cosa più facile sarebbe dare la colpa a quel figlio di puttana che le ha sparato in testa, ma non è così facile, perché magari anche lui aveva dietro una storia che l'ha portato all'alcolismo, e forse è per questo che non lo voglio sapere. Non voglio che diventi umano ai miei occhi, deve rimanere il mostro che ha spappolato il cervello a mia madre.>>

Lui mi fa i complimenti, dice che è la prima volta da quando vado a farmi psicanalizzare che inizio a pensare anche alle altre persone e non al mio tornaconto. <<Ma io l'ho sempre fatto>> ribatto <<solo che me ne frego, non voglio pensare agli altri come a esseri umani.>>

<<E di te? Ti pensi come a un essere umano?>>

<<Più come a una custode.>>

<<Una custode di cosa?>>

<<Di cuori. Del cuore di Luke>> specifico. <<Perché se lo proteggo la casa resta incrinata, ma non crolla. E io sono a posto, e mi sento tranquilla.>>

La custode di cuori {COMPLETA} (IN REVISIONE)Where stories live. Discover now