Una piccola guardiana (parte uno)

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La gente lo chiede spesso.

"Come stai?"

Come stai. 

Come. 

Stai.

È una domanda che non sopporto e fa rizzare i peli delle mie braccia per il disgusto. Forse perché - fra adulti, psicologi e parenti - è quella che mi pongono praticamente ogni maledetto secondo, o forse ancora perché io sono una ragazza con un pessimo carattere - cosa alquanto probabile, me ne rendo conto.

La verità è che non posso tollerare quelle due parole. Sembrano nate per poter screditare il dolore più effimero e costringerti così a sorridere e a dire quella bugia che tutti conoscono ma che, per qualche oscura ragione, solleva i loro animi preoccupati.

"Sto bene".

Immagino che se rispondessi così, allora molti sarebbero gli occhi che verrebbero attraversati da una luce di sollievo. In fondo è per colpa del mio malessere se ho fatto quello che ho fatto. Se semplicemente questo dolore perforante che provo dentro potesse scomparire, non correrei più il rischio di compiere simili folli azioni.

Ma siamo sinceri, quando una persona sta male cosa dovrebbe fare? Nei libri e nei film le protagoniste si crogiolano nel loro dolore piangendo sotto le coperte dopo aver consumato una fornitura a vita di gelato e essersi lasciate andare nei meandri della disperazione più profonda. Alcune di loro singhiozzano fino a trasformare la loro voce in quella di Chuck Norris, altre si fanno abbracciare e stringere dalle amiche del cuore fino a non avere più lacrime da consumare e altre ancora fingono l'apatia più totale fino a quando è il loro stesso corpo a non riuscire più a sostenerla. 

Io non sono così. 

Vorrei poter dire di esserlo, per davvero. Se lo fossi mi risparmierei molti problemi e potrei andare avanti con la mia vita senza dover ripensare ogni istante a quello che ho perso.

Ma sarebbe una bugia. Perché io sono arrabbiata, sono più che arrabbiata. Sono incazzata con tutto e tutti: con me stessa, col mondo, con la vita, col destino. Un ragionamento ottimistico tanto patetico quanto confortante.

Lo psicologo da cui sono costretta ad andare sotto ordine del giudice non fa che ripetermi in continuazione di quanto simili emozioni siano normali, più che comprensibili per il mio lutto. È il più bravo a mentire, il più bravo a nascondere la verità che tutti conosciamo.

Normale? Ma per piacere.

Sono totalmente conscia del fatto che, se esistesse un concetto di normalità, io non rientrerei in esso, e men che meno vi rientrerebbero le mie ultime azioni: il motivo per cui ho rischiato il riformatorio e per cui ora sono qui, in questa casa vuota con uno zio che neanche ricordavo di avere e l'obbligo di frequentare uno strizzacervelli una volta a settimana.

Fantastico.

"Come stai?"

Francamente? Una merda.

***

Luke ha iniziato a piangere molto spesso, soprattutto durante la notte, quando ha degli incubi. Sarah si lamenta continuamente per ciò, dice che i suoi piagnistei le rovinano il sonno di bellezza. L'ultima volta che lo ha affermato con quell'aria strafottente l'ho guardata, lei ha guardato me e si è subito spaventata. Non so se per quel che ho fatto o per quel che sono.

Luke ha pianto quel giorno, ha pianto  così tanto che gli occhi gli si sono gonfiati e hanno iniziato a bruciargli. Io non ci riesco, perciò lo invidio. Sembra che lo capisca, capisce che mi fa male. Il bambino di nove anni intrappolato nel corpo di un quattordicenne ha capito quello che nemmeno il mio psicologo è stato in grado di intuire. Quando siamo solo noi due, accoccolati nel letto, lui non fa altro che guardarmi con quel suo rotondo volto innocente e delicato, per poi dire: «Un giorno tutto finirà.» 

La custode di cuori {COMPLETA} (IN REVISIONE)Where stories live. Discover now