1. The Galway Girl

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« Sentite, pensateci un attimo con attenzione; perché noi donne dobbiamo togliere i peli dalle gambe e da tutte le altre parti? Cioè, i maschi mica lo fanno, è una cosa profondamente ingiusta e maschilista che noi donne dobbiamo essere costrette dalla società a toglierli, infliggendoci del dolore altamente inutile.

Non trovi che sia così, Casper? »

So bene che quando c'è da parlare di femminismo o parità dei sessi, di invettive contro la società, di protezione dei più deboli e di tutto il resto, posso sempre contare sulla mia amica dal nome improbabile. Maia ama definirsi come un "raro esemplare di mozzarella pallida di origini est europee", e il soprannome Casper se l'è dato da sola per via della sua pelle quasi incolore; bionda in origine, si ostina da anni a tingere di nero corvino la chioma perché, così lei sostiene, fa molto strong e girl power; ascolta la musica rock degli hippie degli anni sessanta e sogna di viaggiare per il mondo a bordo di un maggiolino a fiori della Volkswagen; è una single convinta, si inalbera come non mai quando legge i romanzi sui bad boy o guarda i programmi tv con le ballerine svestite in primo piano, ha la gentilezza e la dolcezza di un camionista ucraino ubriaco... e, oltre a tutto questo, Maia è una maestra di asilo nido, educata ed estremamente affettuosa e amorevole con i suoi pargoli al di sotto dei tre anni di età. Le ripetiamo sempre che la faccenda ha dell'incredibile.

I grandi occhi scuri di Silvia mi scrutano con impazienza mentre io sono ancora qui in attesa, con quella stupida striscia di ceretta sulla gamba; dopo qualche istante, la vedo sbuffare prima di mettersi a fissare qualcosa di imprecisato alla finestra posta alle mie spalle. « E quello che diavolo sarebbe? »

Io e Maia ci giriamo di scatto per fissare la finestra socchiusa, immaginandoci di trovare il solito piccione che tenta di entrare come fa tutti i giorni, o addirittura qualcuno che ci sta spiando; viviamo al terzo piano di una palazzina piena zeppa di universitari tra i diciannove e i trent'anni: con tutti i ragazzi che ci sono, non mi meraviglierei di certo di trovare qualcuno intento a sbirciare.

Ma è quando sento un bruciore intenso alla gamba che mi rendo conto della dolorosa realtà: quella di Silvia altro non è stata che una stupidissima sceneggiata messa in piedi a spese della sottoscritta. Mentre ero distratta, mi ha strappato via l'ultima striscia di ceretta, e ora mi ritrovo a urlare un po' per il bruciore, e un po' per la sorpresa. Le lancio d'istinto il bagnoschiuma che trovo a portata di mano ma lei, portiere di pallanuoto, calcio e pallamano, lo acciuffa al volo senza grosse difficoltà e continua a ridere insieme alla sua compare per lo scherzo ben realizzato.

« Stronza », la apostrofo.

« Fottiti », è la sua risposta divertita.

« Avevi una faccia, Sara », continua a sghignazzare Maia, finalmente liberata dal problema ceretta.

In mezzo alle mie imprecazioni ben poco silenziose e a un paio di gomitate, riusciamo a farci spazio tutte insieme davanti al piccolo lavandino per riuscire a toglierci le maschere che ho costretto loro a mettere sul viso, così come facciamo quasi tutti i sabati sera.

« Mettere sta roba sulla faccia per me è una tortura tanto quanto per te lo è la ceretta », borbotta Silvia, quasi lacrimando quando tira via il cerotto per i punti neri. « E poi, vorrei ricordarti che tra cinque minuti inizia Barcellona contro Real Madrid, ottavi di finale di Champions: non me la perderei nemmeno se arrivasse lo spettro di Freddie Mercury fuori dal palazzo a cantarmi Bohemian Rhapsody a mo' di serenata ».

Io e Maia la fissiamo costernata, i visi gocciolanti e scioccati. « Nemmeno in quel caso, Rainbow? Non ci credo », le rispondo scettica.

Silvia sembra pensarci su un attimo, si passa la salvietta sul viso per asciugarlo, e alla fine conclude con una scrollata del capo: « No, ok. Stavo scherzando. I Queen non si toccano ».

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