CAPITOLO 14

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Come ogni domenica mattina,avevo dormito fino alle 11 senza che nessuno mi disturbasse, poi mi ero spostata dal mio amato letto al mio amato divano,mangiando schifezze davanti a qualche talk show.
Iniziai a fare i compiti nel primo pomeriggio,dato che avevo saltato il pranzo a causa dell'enorme quantità di cibo ingerita di mattina.
Finii di studiare per le 17:30, e mi fiondai subito a fare una doccia.
Per sistemarmi ci misi quasi un'ora, e quando ebbi fatto tutto mi sdraiai sul letto. Di nuovo.
Era incredibile,mi ritrovavo sempre sdraiata su quel materasso a non fare niente.
Mi alzai per prendere il cellulare,ma non lo trovai nello zaino. Andai in bagno. Niente.
Guardai sulla scrivania,ma non era neanche lì.
Controllai per sicurezza su tutti gli scaffali della mia libreria personale,il mio paradiso.
A furia di controllare tra i libri,ne caddero una decina.
Ce ne avevo talmente tanti che erano in un precario equilibrio.
Iniziai a ridere per la mia imbranataggine raccogliendone due alla volta, ma la mia risata scemò non appena vidi un libro. Quel libro. Il romanzo che conteneva tutto il mio dolore.
Allungai la mano per aprirlo, ma mi fermai. Un anno emmezzo prima, lo psicologo dell'ospedale mi aveva detto di non farlo.
Ma io lo feci lo stesso. Separai quelle pagine,che erano state così vicine per tanto tempo.
Poi eccola lì. Quella foto.
Sullo sfondo, la scritta Hollywood lontana,il sole cocente,le case.
In primo piano,io,ritratta con un autoscatto, con accanto Abby e Jace,il mio migliore amico.
Quella foto l'avevamo fatta un anno e sei mesi prima.
Una settimana prima che Jace cadde dallo snowboard,battè la testa,e perse i sensi.
Quando la sua famiglia ci chiamò,dissero che erano nell'ospedale della città in cui erano andati in vacanza,e che Jace era in coma. Coma che sarebbe potuto durare per sempre.
Lo portarono a Los Angeles solo qualche settimana dopo.
Io e Abby eravamo disperate,distrutte,vuote,senza di lui.
Io iniziai quasi a impazzire, tanto che lo psicologo dell'ospedale,che mi faceva delle sedute , mi proibì di andargli a fare visita.
Obbligò i medici a "bandirmi" dalla sua stanza, e io non potei più vederlo. Un fottutissimo anno emmezzo.
Lui era la mia salvezza.
Vi starete chiedendo: che problemi poteva mai avere una quindicenne con due migliori amici fantastici?
Bè, il quel periodo stavo con un ragazzo, Alexander, che mi piaceva dal primo anno. Quello stronzo,però, dopo tre mesi che stavano insieme,disse che mi aveva solo usata. Mi spezzò il cuore. Lui era stato il mio primo bacio,le mie prime palpitazioni. In più la continua assenza dei miei genitori peggiorava le cose.
Jace non mi aveva abbondonata. Mai. Io l'avevo fatto. Lui c'era sempre stato per me. Io invece avevo lasciato tutto andare via. Mi ero arresa.
Lui era come il mio sostegno.
Quando barcollavo nella landa buia che era la mia vita, lui era lì a tenermi in piedi.
Quando non c'è stato più sono caduta. Ma ero stata costretta a rialzarmi da sola. E non c'è cosa peggiore per una persona rialzarsi da sola, quando fino a un attimo prima il suo migliore amico era lì a fargli da àncora.
Abby si riprese più velocemente di me, e tra noi non ne parlammo più. Non lo nominammo, non ricordammo i pomeriggi interi passati a fare cazzate, le serate con davanti dieci cartoni di pizza.
Mi accorsi di star piangendo solo quando tre lacrime bagnarono la foto.
Rimisi tutto in ordine e mi diressi verso la scrivania.
Presi un foglio, una penna, e iniziai a scrivere.
Che cosa? Una lettera per Jace.
Avevo sempre rifiutato la sua "morte", e desideravo tanto dirgli tutto.

I Hate Your Smile But I Love ItWhere stories live. Discover now