CAPITOLO 38

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Quando mi portò a casa mi accompagnò fino alla soglia della porta.
"Tutto okay?" Mi chiese per l'ennesima volta. Il suo viso aveva un che di preoccupato, ma si vedeva soprattutto dagli occhi, illuminati dalla luce della luna e un debole lampione. Lo stesso lampione sotto il quale ci avevo spudoratamente provato con lui, da ubriaca.
"Sì, tranquillo Nathan." risposi incrociando le braccia, data la temperatura, ma soprattutto per riscuotermi dai miei pensieri.
"Domani ti passo a prendere per le 7 e mezza, ti do uno strappo a scuola." disse ammiccando.
"E cosa ti fa credere che io accetterò? Ho una bellissima macchina e posso usare quella." ribattei con un sorrisino.
"Questo." Mi baciò improvvisamente. Un bacio casto, ma speciale. Un bacio rubato sulla soglia di casa, come in un film, o uno di quei libri che sembravano perfetti. Ancora incantata, con un sorriso da ebete sulle labbra, non mi ero accorta si fosse allontanato.
"A domani Andrea Clark!" Urlò mentre saliva in macchina.
"A domani.." sussurrai sorridendo, pensando che avesse svegliato tutto il vicinato.
Quando aprii la porta salii in camera, e dopo essermi struccata e aver quasi rotto gli occhiali, mi lanciai, usandolo come eufemismo, sul letto.
Eppure non riuscivo a rilassarmi e chiudere gli occhi. Ogni volta che abbassavo le palpebre, queste si rialzavano quasi subito, come mosse da un filo invisibile. Piuttosto scocciante, ma avevo talmente pensieri per la testa che non riuscivo a spegnere il cervello. Riuscivo solo a pensare al riccio che mi aveva fatto perdere la testa, e fatto attraversare lo stomaco da un esercito; che mi aveva fatto rivedere tutti i punti di sopravvivenza che mi ero prefissata tempo addietro. Lui non riuscivo a odiarlo, era come se fosse la mia fonte di felicità.

Qualcuno suonò il campanello insistentemente, interrompendo i miei sogni.
Che cavolo vogliono a quest'ora?!
Mi alzai barcollante , infilai velocemente un maglione e dei pantaloni della tuta trovati sulla scrivania, acchiappando gli occhiali.
Essendomi alzata troppo velocemente, vidi tanti puntini blu e caddi dalle scale, non riuscendo a stare in equilibrio.
"E che palle!" esclamai rialzandomi. "Arrivo!"
Aprii la porta e trovai Nathan, che mi guardava in modo interrogativo.

Nathan

"Che c'è?" chiese scocciata, sistimandosi gli occhiali.
Non riuscii a trattenere una risata.
"Primo, ho sentito un tonfo e un'imprecazione, sei tutta intera?" chiesi squadrandola, nella speranza di non scorgere punti critici.
Arrosì lievemente, probabilmente nessuno si era interessato così tanto a lei.
"Secondo, sono le 7:30"
Mi guardò per un secondo con una faccia interrogativa, poi strabuzzò gli occhi.
"Merda! Scusa, non è suonata la sveglia. Vado a farmi una doccia e prepararmi, arrivo tra 5 minuti." Fece una pausa" ok, forse un po' di più. Entra, mi sento in colpa a farti aspettare fuori."
Entrai e mi portò in soggiorno.
"Sai, anche io dovrei farmi una doccia" dissi ammiccando.
Lei mi lanciò un'occhiata assassina, allora alzai le mani in segno di resa.
"Scherzavo, scherzavo. Non mi uccidere, ti aspetto qui."
Lei salì al piano superiore, con una delicatezza impressionante. Sembrava un vero e proprio camionista. Però era così bella. Anche con i capelli disordinati, senza un filo di trucco, con gli occhiali e la tuta. Anche di prima mattina, dopo un probabile volo per le scale.
Mi guardai intorno, posando gli occhi su una foto che rappresentava lei, accanto a Jace e Abby, al mare. Aveva gli occhiali da sole neri, e i capelli mossi dal vento. Indossava una maglietta molto lunga bianca. Evidentemente, si era sempre sentita a disagio a stare così scoperta. Nella foto accanto, invece, i suoi genitori, da giovani, davanti all'insegna di un College. C'erano altre foto, ma in nessuna di esse si vedeva una chioma mossa biondo scuro.
Dopo qualche minuto sentii un urlo, allora corsi di sopra, con il cuore a mille per la paura che si fosse fatta male.

Andrea

Salii le scale e mi fiondai in camera per decidere cosa mettere. Dopo i soliti "non ho niente da mettermi, come cazzo faccio?" dettati dalla fretta e dal nervosismo, andai in bagno a aprii il getto d'acqua. Tolsi i vestiti e mi avvolsi un asciugamano intorno al corpo, evitando accuratamente di guardarmi allo specchio. Anche da piccola odiavo guardare il mio riflesso. Lo facevo per necessità, per controllare magari i vestiti prima di uscire, ma mai di mia spontanea volontà.
Pensai alle parole di Nathan e alla sua assurda proposta, e sentii il sangue affluirimi alle guance. Abbassai lo sguardo, trattenendo un sorriso, e notai un enorme ragno sul pavimento. Urlai d'istinto, e, con non so con che abilità, mi misi in equilibrio sul bordo della vasca, sotenendomi con una mano al muro, e l'altra a reggere l'asciugamano.Quando le piante dei piedi vennero a contatto con il freddo dei bordi della vasca, rabbrividii. Ma lo feci ancora di più appena notai un movimento con la coda dell'occhio: il ragno si stava spostando, e avanzava minaccioso verso la vasca. La porta si spalancò e apparve un Nathan trafelato, con il viso teso. Appena notò che avevo indosso solo il telo che copriva fino a metà coscia, però, si appoggiò allo stipite e incrociò le braccia, squadrandomi.
Arrossii notevolmente, di nuovo.
"Che succede?" chiese in tono malizioso.
"C-c'è un ragno" balbettai, cercando di evitare il suo sguardo.
Ignorò completamente la mia precedente affermazione a mi si avvicinò
"Vuoi una mano a scendere? Mi sembri un po' precaria" si offrì, tendendomi un braccio.
Con una mano ancora sul bordo dell'asciugamano, mi affrancai a lui e scesi da lì.
"Grazie" sussurrai.
"Non c'è di che" mormorò a sua volta. "Ti lascio fare la doccia".
Si voltò e uscì, chiudendosi la porta alle spalle.
"E il ragno?!" urlai, nel panico.Probabilmente tendevo a drammatizzare, ma i ragni mi avevano sempre terrorizzata. Poi all'improvviso me li sentivo addosso e iniziavo a saltellare in giro, cercando di scacciare insetti immaginari.
Allungai un braccio e afferrai una scarpa, che lasciai cadere sopra quella bestia infernale.
Ancora spaventata, entrai nella doccia.

Dopo un quarto d'ora scesi le scale di corsa, con i capelli arruffati e il trucco solo su un occhio. Notando l'espressione confusa di Nathan, gli spiegai che avrei finito in macchina.
"Che ore sono?" Chiesi trafelata salendo sul mezzo.
"Le otto meno dieci, ma non preoccuparti, non è una novità arrivare in ritardo per me. Nessuno si stupirà..." rispose lui, scrollando le spalle. Mi bloccai prima di chiudere la portiera.
"Ok, forse è meglio arrivare tardi. La preside romperà le palle per quello che ho fatto e non ne ho nessuno voglia" dissi, dandogli ragione.
La preside era al cento per cento infuriata per la figuraccia che le avevo fatto fare. Ma chi mi toglieva il diritto di cercare di evitarla?

Aprii lo specchietto dell'auto e iniziai a truccarmi l'occhio sinistro, maledicendo Nathan ad ogni buco preso sulla strada. All'ennesima sbavatura, chiusi di scatto il rimmel e guardai male il ragazzo. Notando il mio sguardo truce, si girò con un ghigno"Qualche problema?" Chiese innocentemente.
Capendo quello che stava facendo, gli punta il dito contro.
"Tu, brutto stronzo! Lo stai facendo di proposito, non è vero?!"
"Forse. E comunque, stronzo sì, ma brutto no" rispose facendomi l'occhiolino e girandosi verso la strada. Beh effettivamente non aveva tutti i torti, ma questo non giustificava il fatto che avessi la faccia ricoperta di mascara.
"Quindi cosa vuoi fare?" Chiesi, cercando di pulirmi il viso con un fazzoletto.
"'Non lo so, andiamo a fare colazione?"
"Okay"
Lo portai in un baretto non lontano da casa mia.
Non ci ero mai stata, ma l'insegna anni '80 mi aveva sempre incuriosita.
Dentro, la luce era soffusa, proveniente da piccole abat-jour di vetro colorato, poste su ogni tavolo. Questi erano fatti di un legno scuro,rettangolari, circondati da divanetti in pelli rossa. Non c'era tanta gente: i ragazzi erano a scuola, e gli adulti già a lavorare. Ci sedemmo nel tavolo all'angolo, e arrivò da noi una cameriera.
Oh no. Non comportarti da pazza gelosa. Non fare questo errore, pensai mentre notavo i capelli neri corvino che facevano da contrasto con la pelle pallida, coperta da una spruzzata di lentiggini, e gli occhi azzurro chiaro.
"Ciao!" esclamò. "Saltato la scuola?" aggiunse poi, facendo l'occhiolino; ma capii che era più rivolto a Nathan che a me.
Dal canto suo, il ragazzo sorrise. "No, solo ritardo. Tu invece?"
Oh certo. Mettiti pure a fare conversazione con la cameriera figa, stai tranquillo, io non esisto.
"Sto studiando per diventare dirigente di sala, e fare la cameriera mi tocca" rispose lei innocentemente.
Sì, molto gentile, ma non ce ne frega niente.
"Cosa vi porto?" E sorrise smagliante. Di nuovo.
Levati quel sorrisino del cazzo o te lo tolgo a suon di schiaffi.
"Un caffè americano e un toast per me." Poi si girò verso di me. "Tu cosa vuoi, tesoro?" Quasi non caddi dal divanetto. La reazione della cameriera fu quasi la stessa.
La guardai, senza far vedere la mia sospesa.
" Ginseng e brioche, grazie."
Quando la cameriera se ne andò, rossa in viso, Nathan sorrise malizioso.
"Sai, dovresti smetterla con le occhiate assassine. Metti in soggezione le persone."
"Di che cosa stai parlando?" Chiesi facendo finta di non sapere.
Mi guardò e scosse la testa ridendo, Dio quanto era bello, sarei rimasta a fissarlo per ore.

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