Kevan stringe nervosamente le labbra mentre tenta di continuare il discorso. Si muove in giro per la stanza, lentamente, con gli occhi fissi verso il basso e lo guardo, in attesa che riprenda a parlare perché io non so davvero come continuare.

Proprio quando sta per farlo, la porta si spalanca e Adam entra trafelato. L'occhiata che mi rivolge mi fa impallidire dal terrore, non credo di averlo mai visto così agitato. -Che succede?- Mi alzo dal letto e lo raggiungo.

-I tuoi genitori- dice. -Casa tua. È tutto cenere, Blue.

Non capisco di che stia parlando e lo guardo confusa. -Cosa significa? Cosa... cosa...

-La tua casa ha preso fuoco- dice Adam.

-Stai scherzando...- Scuoto la testa e afferro le sue spalle, non so se perché voglio ucciderlo per questo scherzo o perché in realtà ci credo e non voglio cadere a terra. -Tu stai scherzando...

-No.- Il suo sguardo è talmente serio che subito gli credo. Un assoluto terrore mi pervade il petto. Scanso Adam e mi precipito giù dalla rampa di scale. Cado un paio di volte a terra prima di raggiungere l'entrata ed uscire fuori dalla grande casa. Correndo sulla ghiaia incurante dei sassi appuntiti che mi feriscono i piedi nudi cerco di raggiungere più veloce che posso la mia casa. Non credo di aver corso così veloce in tutta la mia intera vita, ma il panico è troppo perché riesca a rallentare.
Non voglio rallentare.

Ripenso a quanto sia stato sbagliato andarmene di casa, a quanto sia stato egoista lasciare mamma e papà, a quanto io sia stata meschina, a tutte le parole dure che ho ringhiato loro addosso. Non posso credere che finisca davvero così, non posso credere che...

Quando sollevo lo sguardo vedendo del denso fumo nero coprire l'azzurro del cielo inciampo in una crepa e cado a terra, sbucciandomi i palmi delle mani e le ginocchia. Non sento dolore, la mia mente è troppo annebbiata dal panico per pensare a questo. Mi alzo velocemente in piedi ed entro nella mia via. Una calca di gente curiosa mi impedisce di passare ma non mi importa: spingo via chiunque si ponga tra me e la mia famiglia.

Quando arrivo a qualche metro dalla recinzione mi fermo, ansimante.

Dove prima c'erano la mia casa e il mio giardino, adesso ci sono solo macerie e un mare di cenere grigio e fumante.
Avanzo tremante, rompendo il cerchio di spettatori. Non riesco a distogliere lo sguardo dallo scheletro nero della mia casa. Sembra talmente debole che credo basterebbe un tocco per distruggerlo.

Entro esitante nel vialetto, spingendo il cancello cigolante una mano tremante. Tutto è avvolto nel silenzio, o forse sono solo io che non sento più alcun suono. L'unica cosa che percepisco è un vuoto nel petto, un vuoto che aumenta ad ogni passo che faccio. Il vialetto è caldo sotto i miei piedi. Gli scalini di pietra del portico sono rimasti qui e sono tutti coperti di cenere nera che calpesto quasi senza accorgermene.
Mi fermo proprio di fronte ad una porta che non esiste più e guardo ciò che è rimasto di qualunque cosa io abbia amato fino adesso.

Nient'altro che cenere.

Faccio un profondo e singhiozzante respiro pensando a dove fosse prima il divano, a come io e mio padre ci sedevamo quando ero ancora piccola. Lui sprofondava tra i cuscini e io gli saltavo addosso, poi mi faceva il solletico e insieme guardavamo tanti film da farci lacrimare gli occhi. A lui piace vedermi sorridere, dice che quando sorrido una stella nasce in cielo e quando rido ne nascono mille. Tanti piccoli puntini luminosi che spuntano solo per me. Il mio papà mi vuole così tanto bene e io lo tratto così tanto male... e la mamma... che quando provo qualcosa di nuovo mi incoraggia sempre a fare del mio meglio, a sforzarmi, a togliere le rotelle laterali dalla bici e pedalare senza alcun aiuto. È successo proprio di fronte a casa nostra, ci provavo da tutto il pomeriggio ma perdevo sempre l'equilibrio cadendo a terra. Quando piangevo la mia mamma era lì e mi stringeva forte e mi baciava le ginocchia, il dolore poi magicamente passava e io riprovavo e riprovavo e riprovavo a non cadere. Papà era sul portico e faceva il tifo per me agitando energicamente una bandierina fatta con un bastoncino e un fazzoletto di carta. -Vai, Blue! Vai, Blue!- esclamava e sembrava davvero credere in me, così come la mamma che mi aspettava sorridente alla fine della strada.

Ma come ho potuto dimenticare tutto quanto? Come ho fatto ad abbandonare la mia famiglia così? E come faccio a chiedere scusa?
Mi accascio sul portico, le mie mani affondano nella cenere e me le porto al viso bagnato di lacrime, graffiandomi la pelle con le unghie. Urlo, urlo sempre più forte, urlo perché ho sbagliato ogni cosa, urlo perché non si meritavano questo, perché ora non ho più nessuno da cui tornare. Nessuno a cui chiedere perdono.
La cenere della mia famiglia, di tutto ciò che avevo fino a ieri, mi entra negli occhi bruciandomeli. Sento il suo sapore in bocca. Il suo odore nel naso. Il vento la fa volare via e in un impeto di pazzia mi stringo la polvere contro il petto cercando di sottrarla ai gelidi soffi d'aria, che la portano via da me. Mi accorgo di strillargli qualcosa ma sono troppo fuori di me per capire cosa io stia dicendo, so solo che devo tenere al sicuro dal vento ciò che rimane della mia mamma e del mio papà e della mia casa. Piango ancora più forte e mi trascino in casa, tentando di salvare ciò che posso e strillando maledizioni a qualunque cosa abbia causato tutto questo.

Perdo il controllo. Non so neanche quello che sto facendo. Non vedo più nulla, come se fossi piombata in un limbo nero come la pece.
Mi sono ricordata troppo tardi di amarli.
È troppo tardi per ogni cosa.

Enchanted ||VINCITRICE WATTYS2017||Where stories live. Discover now