Capitolo 37

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Era da giorni che nella mia testa balenavano sempre le stesse immagini ripetutamente, sempre le stesse.
Un'esplosione, un forte fischio invadeva le mie orecchie. Ancora adesso riuscivo a sentirlo ma era meno forte, come tamponato da qualcosa.
Un urlo, il mio, così alto, così strozzato dalle lacrime. Non sembrava nemmeno un urlo in effetti. Continuava a rimbombare nella mia testa.
Una scarica, una potente scarica d'energia aveva seguito il mio grido.
Una scarica che mi aveva svuotato l'anima.
Solo da poche ore avevo ricominciato a sentire il mio corpo, sembrava che un esercito di formiche non la smettesse di camminarmi sopra, imperterrito.
Il mio respiro che fino ad ora era stato lento, regolare, ora aveva iniziato ad agitarsi. Forse la mia mente pretendeva di riprendere il controllo sul corpo, il controllo che aveva perso dopo l'esplosione.
Le palpebre, rimaste abbassate fino ad ora, iniziavano ad essere pesanti, come se volessero schiacciarmi gli occhi.

No.

Non volevo svegliarmi.

Non volevo capacitarmi del fatto che avevo perso tutto.

No, volevo rimanere qui, stesa chissà dove, addormentata su un letto che non era mio, indisturbata, tranquilla nella mia solitudine. Anche se forse avrei preferito sparire definitivamente da questo mondo che sembrava avercela a morte con me.

Non potevo rimanere così per sempre perciò, senza volerlo con tutta me stessa, aprii gli occhi. Sbattei le palpebre velocemente per adattarmi alla luce straziante. Sospirai, il mio sguardo era volto verso l'alto e qualcosa mi bloccava il collo, qualcosa di duro e fresco. Provai a roteare gli occhi per capire dove fossi, per quello che potei vedere capii che qui non c'ero mai stata.
Uno strano lampadario decorato con delle balenottere azzurre illuminava la stanza.
Provai a muovermi ma più sforzavo i muscoli, più le formiche camminavano pesantemente affondando le loro piccole zampette sulla mia pelle. Sembrava a me o le mie ossa si erano appesantite parecchio?
Alzai l'avambraccio destro fino all'altezza degli occhi sforzandomi con tutta me stessa. Era ricoperta di garza bianca. Solo le punta delle dita erano scoperte.
Provai a muoverle ma quello che riuscii ad ottenere furono piccoli spasmi insignificanti. L'altro braccio non provai nemmeno ad alzarlo, sentivo che aveva la flebo attaccata.
Quanto avrei voluto staccarmi tutto, alzarmi, e andare via.
Questa stanza però, guardandola bene, l'avevo già vista. Mi guardai intorno provando a ricordare, a riprendere ricordi nella mia mente che erano sfocati.
Le decorazioni azzurrine, i mobili bianchi, i poster di... Captain America?
Corrucciai la fronte perplessa cercando di focalizzare meglio il poster, non volevo aver visto male.
Era proprio lui, Steve, con la sua tuta a stelle e a strisce e il suo sorriso contagioso. Mi ritrovai a sorridere anche io, nonostante tutto.
Mi venne un colpo quando la quiete che dominava l'atmosfera fu bruscamente interrotta dalla porta che si apriva.

<<Dimmi se ha bisogno di altra morfina>>
Sentii una voce familiare ma con le orecchie tappate che mi ritrovavo non riuscii a darle un volto.
<<D'accordo>>
Ecco, la voce che avrei voluto sentire fin da subito.
Steve entrò nella stanza da solo e si chiuse delicatamente la porta alle spalle.

<<Ehi>> sussurrò venendomi incontro. Rimasi immobile.
Si sedette sul bordo del letto, vicino a me e mi prese una mano. Peccato che riuscissi a sentire poco il contatto della sua mano con la mia a causa delle bende.

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The Psyche Girl- un nuovo eroe MARVELDove le storie prendono vita. Scoprilo ora