Together

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30 agosto

Zayn è sveglio da una decina di minuti. È steso su un fianco, nel suo letto, dopo che Lyn è andata a chiamarlo alle prime ore del mattino. Guarda il viso che è addormentato sull'altro cuscino, ancora stanco dalla corsa del giorno precedente: forse ha esagerato, sì, ma allo stesso tempo, stancarsi in quel modo, gli ha permesso di liberarsi di tutto quel nervosismo che si sentiva dentro e che scaricava su Lyn.

Lei continua a dormire, proprio lì vicino. Ha le palpebre rilassate, le ciglia lunghe, abbassate quasi sulla pelle, e le labbra socchiuse.

Non lo sta toccando.

Non ha mai provato ad avvicinarsi, neanche per sbaglio, da quando sono a letto insieme.

È stata sempre lì, nel suo lato del materasso. Lontana.

Non sa quanto tempo passa, Zayn, ma ad un certo punto la vede appoggiare una mano sull'ombelico sporgente e poi aprire gli occhi.

Ed è quel piccolo gesto che gli fa sciogliere qualcosa nel petto. Perché l'ha visto quel sospiro di sollievo – le spalle inizialmente rigide e che successivamente si sono rilassate ancor prima di svegliarsi per bene – che ha tirato Lyn quando ha capito che stava bene, il bambino.

Si scambiano il buongiorno con lo sguardo, silenziosamente. Lei sbadiglia, toglie l'elastico dalla coda ormai sfatta e si massaggia lentamente gli occhi. Forse, se è tanto, avrà dormito quattro ore.

«Lo so che ce l'hai con me, ma smettila di guardarmi in quel modo.» borbotta piano una Lyn assonnata, coprendosi il volto con il cuscino.

Dammi tregua per un secondo.

Zayn non demorde.

«Quale modo?»

Colpevole, quel modo colpevole, ma non glielo dice. Non ha voglia di litigare, non ne ha più le forze.

Calmi, devono stare tutti e due calmi.

«Possiamo semplicemente parlare? Senza urlare e svegliare tua sorella?» magari?, tenta.

Zayn rimane in silenzio, aspettando che sia Lyn a riprendere la parola. Non ha niente da dirle, lei lo sa: quelle cose che si sono rimproverati a vicenda all'ospedale non dovevano essere dette, assolutamente.

Quel poco che c'era di buono è stato distrutto. O magari non ancora, ma ci sono andati vicino: troppo.

La sente sospirare.

«Sono a casa tua. Dormo nel tuo letto, uso la tua doccia, mangio nella tua cucina, leggo sul tuo divano: so che ci sei anche se non sei qui, che tu sei il compagno con cui andrò a crescere questo bambino. Non puoi darmi dell'egoista, non devi insinuare che non ti voglia coinvolgere in qualcosa che ci riguarda, non voglio che le ridici mai più delle simili stronzate.»

Abbiamo fatto sesso e ti ho dato tutto, ogni volta che potevo, ogni volta che volevi, ogni volta che ne avevi bisogno.

Si è spogliata davanti lui un sacco di volte, e non solo dei vestiti, anche di molto altro. Non le diceva a voce le cose, le diceva con lo sguardo. Con le mani che gli toglievano il respiro. Con le gambe e le braccia che non lo lasciavano mai andare. Con il corpo che era completamente incollato al suo.

«Per favore. Dì qualcosa.»

Perché la sta quasi uccidendo il suo silenzio. Siamo già lontani, non allontanarti di più.

Zayn la guarda – costantemente – , per una volta si prende il tempo per farlo.

«Cosa vuoi sentirti dire, questa volta, Lyn? Che le cose si sistemeranno? Che supereremo anche questo? Magari insieme?» mormora, calmo, senza alzare il tono di voce e senza crederci per davvero in quello che le dice.

The Only Easy Day Was YesterdayWhere stories live. Discover now