Stop Callin

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10 aprile

È da due giorni che tenta di parlargli. Il numero del centralino, ormai, lo sa a memoria, considerando le innumerevoli volte che gli ha telefonato in tutti questi anni.

Sospira, nervosa, mentre la recluta che le ha appena risposto la informa di pazientare altri cinque minuti, giusto il tempo di verificare se lui è ancora in zona.

Dall'altro campo si sentono pressappoco i soli rumori sordi: con il passare del tempo ha imparato a riconoscerne qualcuno, come ad esempio il suono fastidioso della voce del caposquadra di Zayn – che anche oggi, a quanto pare, è lì nei paraggi – o gli spari da armi da fuoco che riecheggiano lontani dopo le simulazioni, per non parlare degli schiamazzi e delle porcate che si racconta solitamente i Marines prima di iniziare una qualsiasi esercitazione.

«Pronto?»

«Ehi.»

Lei rilassa immediatamente le spalle, sollevata di risentire la sua voce.

«Come stai?»

«Bene. Tu?»

«Quanto torni a casa?» gli chiede, senza prendere ovviamente in considerazione la sua domanda.

«La prossima settimana, se tutto va bene ..»

«E poi ti fermi?» rimani a casa?

Zayn si massaggia la fronte: è distrutto, non vede l'ora di farsi una doccia – fredda – e di stendersi sulla sua brandina – scomoda e fredda pure quella – .

«Sì, e la cosa non mi piace affatto.»

«Oh, ma vaffanculo!»

Scoppia a ridere con naturalezza, lei e le sue imprecazioni!, sorridendo per la prima volta in quella giornata. Sotto sotto ama, quella ragazza.

«Devo andare.» borbotta, perché non gli è mai piaciuto rimanere ore e ore al telefono per poi sentirla stare male. 

E per sentirsi dire che forse dovrebbe lasciare l'esercito e tutto il resto, evitando di conseguenza di non litigare e cercando anche di nasconderle di come l'altro giorno non si fosse fatto quasi ammazzare da un raid aereo. Nah.

Non ne valeva la pena.

«Zayn ..»

Le scoccia ammetterlo, ma anche lei gli vuole bene: gli è rimasto soltanto lui. Ed è già difficile averlo lontano, sentirlo anche lontano è troppo. Inaccettabile.

Non gli avrebbe mai permesso di tagliarla fuori dalla sua vita, per quanto pericolosa fosse.

«Ci sentiamo la prossima settimana.»

«Ci vediamo, la prossima settimana. Nel frattempo ti rimetto a posto l'appartamento: Dio, c'è una puzza di chiuso e delle tue maledette sigarette che non puoi neanche immaginare! Come fai a vivere qua dentro?!»

Zayn si copre l'orecchio libero con una mano, non è sicuro al cento per certo di quello che ha sentito.

«Sei a casa mia, Cecilia?»

Cecilia abita dall'altra parte dello stato.

«Ah ah.» annuisce, facendogli capire che il frastuono attorno a lui non c'entrava proprio niente in tutta quella storia.

Merda. Lo sapeva che non doveva lasciarla da sola, quella combina sempre qualcosa!

«Perché? E con il lavoro, come fai?»

Cecilia non glielo vuole dire che è stata licenziata, perché non vuole farlo preoccupare inutilmente. Zayn deve avere la testa libera, sgombra da qualsiasi tipo di pensiero che lo potrebbero tradire nei momenti meno opportuni: deve essere sempre lucido, concentrato nel suo lavoro, niente distrazioni.

«Non ti preoccupare.»

E Zayn la immagina la sua spalla che si alza, per minimizzare la questione – gesto che lei compie effettivamente comunque! – . D'altronde la conosce bene, fin troppo: è sangue del suo sangue.

«Devo andare adesso.» ripete, tralasciando l'argomento.

Quando ritornerà a casa risolverà anche quel problema.

«.. Okay.»

Lui tossisce, non ha ancora riattaccato e la sta aspettando.

«Fai il bravo.» torna a casa.

Sempre.

Lo sa che l'ama, anche se non lo dice espressamente lei lo sa.

The Only Easy Day Was YesterdayWhere stories live. Discover now