Evadi.

-Mi hai sentito, stronzetta di una figlia?- continua lui. Il suo viso è talmente vicino a quello di Vanalika che lei sente gli sputi di suo padre sulla pelle mentre le parla. Evadi, scappa.

-Sei inutile, un essere inutile! Non porterai un cazzo a questa famiglia, non sei neanche in grado di guardarmi, guardami!

Vanalika continua a guardare un punto imprecisato della cucina. Evadi, evadi, evadi. Evadi, scappa, scappa, scappa. È solo un brutto sogno.

Il signor Delley allora le afferra il mento e la costringe a girare il viso verso di lui. C'è una tenacia penosa in quel gesto. -Guardami.

La ragazza serra le palpebre. Avverte uno spostamento d'aria e capisce già cosa sta per succedere, ma non si muove lo stesso. Lo schiaffo la becca in pieno, facendole perdere l'equilibrio sulla sedia. La ragazza rovina a terra, coprendosi il punto dolorante con la mano e rannicchiandosi. Le viene da piangere, la cosa peggiore che possa capitare. Se piange dimostra che suo padre ha vinto.
La signora Delley si fionda singhiozzando sulla figlia, afferrandola e tirandosela a sé. Crede che fare così possa proteggerla da ulteriori attacchi da parte dell'uomo ed in parte funziona, dato che il signor Delley barcolla e le guarda con occhi vitrei.

-Cos'hai fatto?!- strilla la donna, tentando di fermare il sangue che scende a fiotti dal piccolo naso di sua figlia. La ragazza ha ancora gli occhi chiusi e respira affannosamente. L'uomo ha cambiato espressione: adesso è confuso, guarda prima la moglie e poi la figlia, quindi fissa il sangue scuro che imbratta i vestiti e la pelle di entrambe. Si passa il dorso di una mano sulla bocca, ansimando lievemente, dopodiché tenta di rimediare afferrando un tovagliolo di carta e provando a raggiungere il volto della figlia, che rimane sempre immobile. Vanalika non vuole muoversi, il grembo di sua madre è tutto ciò di cui ha bisogno adesso. Ha bisogno di lei e del buio. Quando la donna si accorge dell'improvvisa vicinanza del marito, lo spinge via dal petto strillandogli contro parole sconnesse ed intrise di lacrime e disprezzo. L'uomo abbassa lo sguardo per un istante, dopodiché si alza, afferra la bottiglia di vino ed esce di casa sbattendosi la porta alle spalle. Le due donne sentono la macchina allontanarsi. Hanno entrambe il respiro accelerato e il naso sta ancora sanguinando, il cardigan bianco di sua madre è intriso di macchie cremisi. Si stringe ancora di più la figlia al petto, accarezzandole con mano tremante la testa, il collo esile, le spalle, le ossa sporgenti della colonna vertebrale. -È tutto finito, amore mio- sussurra, la voce rotta dal pianto. Le bacia la fronte e rimangono strette l'una all'altra finché cedono e smettono di ignorare lo squillare insistente del telefono.

Il signor Delley piange la morte dell'autista di autobus e suo migliore amico Joe con un vino d'annata, mentre guida in una stradina buia appena fuori Ancestor's Hill. I fanali della sua vecchia Camaro non vanno poi così bene, anzi, fanno altamente schifo, ma chiedere che un uomo ubriaco alla guida se ne interessi era come chiedere a tua madre il permesso di squartare tutti i cuscini per poi indossarli come vestiti.
Fatto sta che il signor Delley, un armadio di muscoli e rabbia e disperazione, non si accorge della figura in mezzo alla strada e la investe. Percorre qualche metro e poi frena di botto, facendo stridere le gomme consumate sulla strada illuminata sporadicamente da qualche lampione. L'uomo guarda sconvolto un punto davanti a sé, pregando che sia solo un gatto o un cane o un cervo, anche se di cervi, gatti e cani bipedi su una strada ne ha visti ben pochi. Nessuno.
Beve un ultimo sorso di vino e poi esce dalla vettura, barcollando vistosamente. Percorre per alcuni metri la strada costellata di buche. L'atmosfera è spettrale: la Luna è coperta da spesse nuvole, gli alberi non osano frusciare né gli animali notturni muoversi dalle loro tane.
Solo il rumore lontano di una festa fa capire all'uomo che si trova in un posto abitato. La cosa lo conforta e allo stesso tempo lo riempie di terrore: ci sono ancora più possibilità che abbia preso sotto una persona.

-C'è qualcuno?- L'uomo strascica le parole, facendo un giro su sé stesso. Non c'è assolutamente niente. Allora comincia a pensare che sia stato tutto frutto della sua mente e che quel vino fa veramente, veramente schifo, e che deve smettere, che deve cominciare a prendere in mano le redini della sua vita. Ripensa a sua figlia e a sua moglie e al sangue. Non sa come rimediare, ma ci proverà. È sempre stato un tipo irrequieto e di poche parole, sempre con un diavolo per capello, ma questo è troppo. Si rende conto che ha esagerato. Vuole rimediare, vuole rimediare ma non sa da dove partire. Vuole parlare con sua figlia, poi con la moglie. Le ama, le ha sempre amate. Lo perdoneranno? Dopo tutto quello che ha fatto, lo perdoneranno? La morte di Joe è stata solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso. -Oh, Dio.- Si inginocchia a terra, portandosi le mani tremanti al viso. -Oh, Dio. Oh, Dio.

Una figura si rialza nell'oscurità, facendo scrocchiare le ossa rotte, barcollando finché le gambe non tornano come dovrebbero essere. Si porta le mani alla testa, sistemandosela nel modo corretto. Il signor Delley adesso è rannicchiato contro il cofano della sua auto a piangere, la testa tra le mani, il corpo scosso da fremiti. È così vulnerabile nonostante sia in grado di sollevare duecento chili di peso - questo lo aveva constatato tutto il paese ad una delle sue sporadiche fiere.

La figura emerge dall'oscurità, camminando fino a trovarsi a qualche metro di distanza dall'uomo. Lui non sa chi sia, è buio, ma ne percepisce comunque la presenza; si alza, ancora barcollante, quindi si fionda contro la portiera della Camaro. -Aiuto!- urla. Non riesce ad aprire la portiera, maledetta auto, è bloccata! Il signor Delley si guarda intorno nel panico, quindi strattona con forza la maniglia. La portiera si apre.
La figura a qualche metro di distanza fa un gesto annoiato con la mano e l'uomo viene scaraventato a terra. La figura muove ancora la mano. Lui va a sbattere contro la macchina, rompendo un vetro con la testa, viene di nuovo allontanato e poi scaraventato per l'ennesima volta sull'auto.

Trascorre un attimo, dopodiché si avvicina al signor Delley a passo lento e cadenzato. Lui è ancora vivo, implora pietà. La sagoma poggia il proprio piede sul petto dell'uomo. Schiaccia con forza, come se dovesse uccidere un insetto. È più o meno quello che la sagoma pensa di lui, dopo essere stata investita.
Sente le ossa della gabbia toracica cedere e spezzarsi e l'uomo lanciare un urlo disumano. Musica per le sue orecchie. Un vento forte e degli ululati provenienti dal cielo distraggono la sagoma dalla sua dolce vendetta.
La Caccia Selvaggia. Sorride allontanandosi velocemente dall'uomo esanime, dopodiché si rifugia nell'oscurità.
Sa per certo che il male nel suo cuore è troppo perché la Caccia non si accorga di lei, perché non venga a prenderla.

Si sente felice.

La signora Delley solleva piano la cornetta, deglutendo. -Pronto?- La sua voce è calma per miracolo. Si asciuga le lacrime con il dorso della mano, sporcandosi il viso di sangue. Dall'altra parte della cornetta sente qualcuno sussurrare e gorgogliare. -Pronto?- ripete, con più sicurezza. -Chi è? Pronto?

-M-Mo... ni... que. Moni... que.- La voce gorgogliante emette un forte singulto, dopodiché la voce riprende. -Io... t-ti...

-Chi è?- La donna sgrana gli occhi, spaventata. -Marcus? Sei tu?

-Ti a... am...- sospira. -... Amo.- La voce smette di parlare, anche se nessuno blocca la chiamata.

-Marcus?- Lo chiama spaventata. Avverte una brutta sensazione, scoppia nuovamente a piangere. -Marcus!- urla, ma niente, nessuno risponde.

La famiglia Delley ora non è più una famiglia. Ufficialmente.

Enchanted ||VINCITRICE WATTYS2017||Where stories live. Discover now