17.

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LIAM POV.

Dovevo ancora realizzare che era in coma, ormai le giornate in ospedale passavano lunghe ed interminabili. Per i primi tre giorni nessuno poteva vederla, gli unici a riuscirci erano i genitori. La mamma di Ev mi aveva più volte comprato del cibo, ma il mio stomaco si rifiutava di mangiare da ormai tre giorni. Non avevo fame, non avevo voglia di andar via, me ne stavo lì fuori ad aspettare che mi facessero entrare da lei.
Quando notai il dottore avvicinarsi mi alzai di scatto e lo raggiunsi.

«Posso vederla? La prego dottore, sono tre giorni che non me la fate vedere. Vi prego.. »

Non mi ero mai trovato a dover supplicare qualcuno, eppure se fosse stato necessario mi sarei inginocchiato senza pensarci due volte.
In questi giorni avevo capito moltissime cose, avevo capito che la ragazza che se ne stava a pochi metri da me era davvero importante. Avevo capito che il bisogno costante di averla intorno mi stava uccidendo, avevo capito che non avevo mai provato ciò per nessun'altra ragazza.

«Puoi vederla, e puoi stare con lei se ti va. »

Senza attendere ulteriormente ringraziai il dottore e mi avviai di corsa verso la sua stanza. Lentamente aprì la porta ed entrai chiudendola poi alle mie spalle.
Lei era lì, stesa immobile su quel letto con tanti tubicini intorno. A quella vista le lacrime fuoriuscirono, e le lasciai scorrere silenziose mentre mi avvicinai lentamente al letto.
Era così pallida, aveva una fascia in testa, una gamba ingessata e molteplici lividi su entrambe le braccia. Socchiusi per un attimo gli occhi e le immagini di lei prima dell'incidente si materializzarono davanti a me. I suoi occhi verdi che mi guardavano in mal modo per la palla che gli avevo lanciato, il suo sorriso sotto quell'albero al parco e soprattutto la sua pelle così morbida e delicata che avevo paura anche solo di sfiorare.
Ora davanti ai miei occhi ci stava una ragazza stesa su un lettino con le labbra strette che lottava contro la vita.
Altri due passi e mi ritrovai vicino al suo letto, notai una sedia e ne approfittai per recuperarla e sedermi vicino a lei. Presi lentamente la sua mano portandola alle labbra e baciai il palmo, la sua pelle ora profumava di medicinali e non più del suo magnifico profumo. Allungai una mano sfiorando lievemente il suo viso, le labbra strette e viola mi fecero rabbrividire.

«Sono io, Liam.. ho aspettato tre giorni per vederti. Non me lo permettevano ma non ho mollato e sono rimasto fuori ad aspettare tutto il tempo. Mi manchi, e mi sono comportato da vero coglione. Io..non volevo baciarla.. lei si è buttata addosso e mi dispiace non essermi spostato. Mi sento in colpa. Mi sento in colpa perché non doveva succedere a te, non dovevo uscire con quella cretina, hanno insistito i miei genitori.. mi dispiace.. mi dispiace così tanto. »

Le lacrime continuavano a venir fuori senza contegno, e non provai neanche a nasconderle. La porta si aprì e i genitori di Isa raggiunsero il letto, quando la madre si accorse delle mie lacrime si avvicinò a me passandomi una mano intorno le spalle come per rassicurarmi.

«Liam, dovresti andare a fare una doccia e soprattutto a riposare. Sono tre giorni che non dormi.. »

Scossi la testa asciugando le lacrime con il dorso della mano, mentre con l'altra mantenevo ancora la stretta alla sua. Solo così potevo sentirla vicina, solo così potevo sapere che era con me anche se fisicamente se ne stava immobile.

«Non voglio lasciarla, e se mentre sono via si risveglia? Non posso, voglio rimanere con lei. »

Mi guardarono preoccupati e non aggiunsero altro, il padre si avvicinò a me e mi porse una busta.

«Figliolo qui dentro trovi del cibo e da bere, promettici che mangerai qualcosa. Fallo per lei. »

Annuì senza dire una parola, e mi alzai per raggiungere il bagno della sua camera. I genitori di Sophia avevano pagato i medici per far sì che avesse la stanza migliore.
Mi sciacquai il viso e notai i miei occhi rossi, avevo pianto tanto e solitamente non era da me. Mi guardai ancora un attimo allo specchio notando un ragazzo stanco, con i capelli disordinati e gli occhi rossi. Ma non mi importava di come stavo, l'unica cosa importante  era solamente lei.
Volevo che si risvegliasse, volevo che tornasse ad insultarmi, o solamente a guardarmi male come era solita fare. 
Volevo risentire la sua voce squillante, anche se sapevo che non voleva più avere a che fare con me. Dopo avermi visto che non quella ragazza, ero certo che non mi avrebbe dato una possibilità, e me lo meritavo anche. Come darle torto? Ero la causa del suo malessere, di tutti i suoi problemi. Era in coma,  e al momento non si avevano notizie certe sul suo risveglio, i dottori continuavano a dire che non potevano sapere con esattezza se riaprirà gli occhi prima o poi, ma io come i suoi e come gli amici pregavamo ogni giorno per far sì che potesse risvegliarsi il prima possibile.
Mi guardai ancora una volta allo specchio, nonostante tutto le lacrime non si fermarono e cercai di sciacquarmi più volte il viso, sperando vivamente di dar sollievo ai miei occhi. Dovevo mangiar qualcosa, stavo perdendo peso a vista d'occhio, e soprattutto non potevo rischiar di svenire per poi ritrovarmi su un lettino al suo fianco con una flebo nel braccio. Al momento riuscivo a sentirmi vuoto, vuoto perché il senso di colpa mi stava mangiando vivo e ragionare era l'ultima cosa che riuscivo a fare. Smisi di guardarmi, e tornai in camera. La gola mi bruciava, colpa dell'odore pungente dei medicinali.
Mi sforzai di mangiare, continuando a guardarla, sperando che si risvegliasse al più presto.
Avevamo tutti bisogno di risentire la sua voce, di rivedere i suoi occhi anche se sapevo che l'ultima persona che voleva vedere ero proprio io.
Non mi portava se mi avesse odiato, mi importava solamente di rivederla sveglia anche se lontano da me.

My Heart Belongs To You. Where stories live. Discover now