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Capitolo uno

Megan

Ecco ci risiamo.

Jill e Chloe, due delle mie compagne di classe, che si danno tante arie a scuola, stanno sculettando come due oche davanti ad una ventina di ragazzi, come se questa discoteca fosse un night club.

Anche a me piace ballare, però non così!

Scuoto la testa involontariamente. Nonostante siano molto belle, credo siano un po' patetiche. Pur di farsi vedere, farebbero di tutto. Mi lanciano una breve occhiata, per vedere se fossi ancora all'ingresso, ed io rivolgo loro il mio miglior sorriso. Appena tornano alla loro danza tribale, smetto di sorridere e mi guardo intorno, fingendo di non conoscerle.

Mio Dio, che vergogna...non le posso capire.

Mi aggiro per il locale alla ricerca di un posticino appartato tutto per me. C'è un angolo, vicino al bar dove le luci sono soffuse. Il fatto che ci sia tantissima gente mi mette un po' a disagio... e pensare che sono venuta di mia spontanea volontà! Dannazione, qualcuno mi ricordi perché mi sono fatta trascinare da queste due?! E' chiaro che a loro non importi poi così tanto di me. Se mi avessero voluto davvero bene, non avrebbero insistito tanto affinché io venissi.

Ma perché non sono rimasta a casa?

Ogni volta è sempre la stessa storia: loro ballano, si ubriacano e poi tocca a me riportarle a casa. In pratica sono la loro guardia del corpo.
Potrei mettere un annuncio sul giornale:

"Ragazza con una solida morale e senso ligio del dovere, in grado di riportare a casa sani e salvi i vostri figli ubriachi e magari anche fatti".

Forse mi arricchirei.
O forse sarebbe una pessima idea. Sono proprio messa male... sto parlando da sola.

Mi tiro mentalmente uno schiaffo in fronte. Dovrei essere più decisa riguardo le decisioni che prendo, dopotutto io sono Megan Ed, una ragazza di diciotto anni che non si fa mettere i piedi in testa da nessuno. O almeno questo è quello che ripeto sempre a me stessa. La realtà è un tantino diversa.

Mentre le mie due "amiche" ballano, me ne sto seduta da sola in questo minuscolo tavolo in legno vecchio, a sorseggiare il mio analcolico alla fragola e a scarabocchiare qualcosa su un tovagliolino di carta. La cosa, vista da fuori, può sembrare un po' triste, ma in realtà non lo è.

Amo disegnare, ho iniziato a coltivare questa passione da poco, da quando mia sorella ha deciso di trasferirsi in Italia, lasciandomi qui da sola, in Alabama, con il resto del mondo da sopportare.
Quando mi sento sola, sono i disegni a tenermi compagnia.
All'inizio ero proprio una frana. Da sette mesi a questa parte però, mi sono impegnata tanto per imparare ad essere brava in qualcosa e così i miei disegni sono diventati belli.

Credo che l'arte e la musica siano fondamentali, tutto il resto, per me, è un po' superficiale.

Proprio perché mi piace disegnare e so a grandi linee riconoscere qualcosa di bello, ritengo di essere una ragazza semplice, non credo di essere bella ma mi definisco "un tipo".
Di me stessa amo però i grandi occhi da cerbiatta, di color ambra tendenti al verde, che cambiano colore in base alla stagione.
Ho i capelli lunghi e lisci ereditati dal papà, ma ramati come quelli della mamma, che molto spesso, per praticità, raccolgo con due mollette alte.
Ho la pelle molto chiara che si arrossa facilmente se esposta al sole, ma che ovviamente non si abbronza mai. Le labbra sono piccole e piene. Mia nonna diceva che, quando ero piccola assomigliavano a quelle di Biancaneve.
Sono alta un metro e settanta e vorrei essere più bassa, solo perché così potrei mettermi i tacchi senza sembrare una giraffa, sarei meno goffa e inoltre le ragazze basse sono più carine.

Mi definisco "diversa" da tutte le mie "amiche", non credo nell'amicizia autentica, è solo un'illusione. Non so se sia per il fatto che mi sento più matura di loro o se sono loro decisamente poco cresciute. La gente potrebbe pensare che io sia un po' altezzosa o che sia una che se la tira, ma in realtà, non è una cosa di cui vado fiera anzi, spesso credo di essere nata in un tempo non mio. Inoltre, non mi interessano le cose che per loro sono fondamentali, come fare shopping, ubriacarsi, fumare, correre dietro ai ragazzi e soprattutto, odio mettermi in mostra: preferisco essere la tappezzeria piuttosto che il dipinto.

Forse perché non ho mai veramente vissuto la mia adolescenza, non ho mai attraversato il "tipico periodo di ribellione" contro tutti, sono cresciuta troppo in fretta. Ma come si dice: "se la vita è dura, si deve crescere in fretta".

Alzo gli occhi al cielo.

Guardo l'ora sullo schermo del cellulare, è quasi l'una. Sono davvero stanca, penso sia meglio tornare a casa. Raccolgo le mie cose e comincio a cercare le mie amiche; se non le trovo in fretta, i miei mi uccideranno. Mi guardo intorno e finalmente le vedo. Stanno ridacchiando con alcuni ragazzi. Un bel gruppo devo dire.

Un groppo mi si forma in gola.
Saranno almeno in sette.
Devo solo fare un cenno, così non mi dovrò avvicinare.
Sento improvvisamente caldo, inspiro e mi avvicino, cercando sempre di non farmi vedere.
«Ehi Meg?!» mi urla Jill.

Il mio tentativo fallisce miseramente. Tutti si girano verso la mia direzione e mi scrutano.
Mi sento esposta e fragile.
Come ho già detto, non amo avere gli occhi della gente addosso.
Mi sposto lentamente, posizionandomi davanti alle due ed ignorando gli altri.

Prendo un po' di coraggio.
«Possiamo andare a casa, sono stanca» dico timidamente, mentre lo sguardo dei ragazzi mi brucia addosso.

Chloe mi si butta addosso e un live sospiro esce dalla mia bocca, mancava poco che non buttasse entrambe per terra, lì si che la situazione sarebbe diventata davvero imbarazzante.

«Hai bisogno di una mano, dolcezza?» Mi chiede uno, sembrando realmente intenzionato ad aiutarmi.
«No, tranquillo! È tutto ok.» Rispondo senza guardarlo ed aggiustandomi il braccio di Chloe intorno al collo.

Con il cuore che batte all'impazzata, scorgo l'uscita e mi ci fiondo, trascinando le due ubriacone. Il loro tanfo mi arriva alle narici. Quanti secchi di alcol si sono scolate per puzzare così? Neanche l'ubriacone del quartiere sarebbe arrivato a tanto.

Usciamo dal locale ed il venticello tipico di settembre mi sfiora la pelle. Rabbrividisco leggermente, tiro fuori il cellulare dalla tasca, devo chiamare un taxi.

Shut up and Kiss me! [Completo]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora