Capitolo ventiquattro

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"No ma secondo te che devo portare?" Chiesi mordicchiandomi leggermente un'unghia.
Continuavo a rovistare nell'armadio in cerca di qualche miracolo.
Che avrei potuto mettermi?
Tra un'ora sarei dovuta uscire con Justin.
Ce l'avevo fatta. Avevo resistito alla tentazione di farmi del male. Dovevo semplicemente continuare così ed ero libera.

Mi voltai e posai lo sguardo su Sara, distesa sul mio letto, intenta a messaggiare istericamente con il suo nuovo fidanzato Kian. Da quando, l'altra settimana si erano fidanzati, lei parlava solamente di lui. Non passava un attimo che non lo citasse in ogni discorso che facevamo.
Ero molto felice per lei. Era sempre stata una ragazza forte. Aveva sofferto molto nella sua vita, me nessuno era mai riuscito a strapparle il sorriso.

"Grazie per ascoltarmi" le dissi ridendo e incrociando le braccia.

"Oh" mi guardò per poi posare ol cellulare "scusami Grace"

Le sorrisi.
Non sapevo ancora dove Justin mi portava. In realtà avevo un po' di paura. Insomma, era il mio primo appuntamento con un ragazzo. Non sapevo se sarei stata all'altezza.
Non sapevo cosa mettermi. Non sapevo dove stavo andando. Cosa sapevo? Che avevo paura.

"Aspetta che ti aiuto"

Sara venne da me e mi spostò. Aprì l'armadio e senza alcun problema iniziò a controllare tutto quello che c'era dentro. Tutti i vestiti che non sclese, li buttò a terra.

Mi appoggiai a muro "Tranquilla, tanto poi devo nettere io in ordine"

"Questo no, questo nemmeno, neanche questo" borbottò buttando via quello che non le serviva.

Mi distesi completamente sul letto a pancia in sù, iniziai a fissare il soffitto.
Stava realmente accadendo o era solo frutto a mia immaginazione? Forse era reale. O forse stavo solamente impazzendo. Forse la mia mente, abituata alla più completa solitidine, aveva inventato tutto. Forse, uscendo da questa stanza, sarebbe arrivata Susan e mi avrebbe portata dalla psicologa. Forse questo era un sabato come gli altri. Forse stavo solo impazzendo. Ma decisi ugualmente di assaporarmi l'idea che Justin ci fosse. Non avevo un cazzo da perdere. In fondo che mi restava di bello nella vita? Niente. E forse per questo non me ne fregava più di nulla, perché non avevo niente da perdere. Nulla si sarebbe ripercosso sulla mia in modo negativo. Era impossibile rederla più brutta di come lo fosse già.
Probabilmente, se l'uscita con Justin era reale, lui avrebbe capito che non si può amare una come me.

Perché una persona dovrebbe amarmi? Che ci guadagnerebbe? Gli creerei solo probelemi.
Perché qualcuno dovrebbe trovarmi speciale? Io non ho niente di speciale.
Perché qualcuno dovrebbe darmi attenzioni? Non me le merito. Non mi merito nulla, apparte la sofferenza che provo nel capire che sono ancora viva.

Quando Justin avrebbe trascorso una giornata intera con me, avrebbe sicuramente capito che sono solo un peso. Mi avrebbe mandata a fanculo, come giustamente hanno fatto tutti. Me ne sarei tornata in ospedale. Avrei pianto. Sarei stata ancora più male di come stavo ogni giorno. Mi sarei tagliata. Forse avrei continuato a vivere -se così si può chiamare- o forse mi sarei uccisa.

"Grace stai bene?"

Mi alzai di scatto sentendomi chiamare.

"Saranno dieci minuti che ti chiamo e non mi rispondi. Va tutto bene?"

No, un cazzo va tutto bene. Qua va tutto a puttane. Qua rovinto tutto.

Continuai a fissare i suoi occhi color nutella. Mi soffermai su quello che teneva in mano. I vestiti che avrei dovuto indossare. Non feci caso di che si trattava. Mi morsi il labbro. Portai lo sguardo sul pavimento. Vestiti a terra. La borsa di Sara. Altri oggetti che facevano semplicemente da comparse.

"Grace" mi sentii scuotere.
"Grace" di nuovo "va tutto bene?"

Sentii Sara sedersi vicino a me.

Fissai il bicchiere d'acqua quasi vuoto sul tavolino e piegai la testa leggermente.

Questa era un'illusione. Ma perché sarebbe dovuto accadermi qualcosa di bello se non me lo meritavo?

Non potevo rovinare anche la vita di Justin, non la sua. Avevo rovinato quella dei miei genitori e di Sara, ma non la sua. Non si meritava di passare le giornate tra i miei pianti e gli ospedali, tra le medicine e i medici, tra e mie insicurezze e i miei squali. Non se lo meritava, non doveva passare tutto questo per causa mia. Non potevo essere egoista a tal punto da fargli questo.
Lui non sapeva quante cose orribili mi passavano per la testa ogni fottuto secondo e non doveva nemmeno saperlo.
Stava tornando la Grace che non ero io.

Ero sul punto di andare fuori di testa quando dalla porta vidi entrare qualcuno. Mi voltai.

"Ciao Justin" sentii dire da Sara.

Dopo questo, se ne andò, mi diede un leggero bacio sulla guancia e uscì, probabilmente per asciare me e Justin da soli.

Gli sorrisi debolmente.

"Pronta?"

Da quando mi fece quella domanda, a quando risposi, passò poco più di un secondo. Però, in quel secondo, diedi una risposta che probabilmente cambiò la mia vita.
Tutti pensano e ripensano sempre a che sarebbe meglio fare. Ci mettono anche mesi. Invece, secondo me, dovremmo dare le nostre risposte così, come vengono. Non abbiamo tempo di pensare ai pregi e ai difetti della nostra scelta. Lasciamo che le cose escano in modo naturale, naturali come noi stessi, come siamo realmente.

Quel secondo che cambiò la mia vita, non lo vidi a rallentatore. Lo vidi come un normale secondo e, come tutti i normali secondi destinati a morire.
Però, per la prima volta nella mia vita, risposi senza riflettere, alla cosa che avrei voluto. Tutti i pensieri fatti prima, svanirono. Da un momento all'altro sentii riemergere la vecchia Grace, quella entusiasta della vita. La Grace che ero veramente, non quella che usavo come maschera. In questi anni, infatti, avevo imparato a difendermi dalle delusioni con l'acidità. Nessuno poteva avvicinarsi a me e di conseguenza nessuno poteva ferirmi. Eccetto Justin.

"Si, sono pronta. Andiamo"

Mi alzai sfoggiando uno smagliante sorriso.

Decisi che sarei andata così come stavo. Non mi sarei cambiata. Sarei andata con Grace e basta e,per la primissima volta, mi convinsi che potesse bastare.

Justin mi sorrise e inziò a controllare ogni minima parte di me.

"Lo sai che sei bellissima?"

Intrecciai le braccia attorno al suo collo e unii le nostre labbra, come se fossero nate solo per quello.

"Ora possiamo andare" dissi sfiorando la punta dei nostri nasi.

Uscimmo dalla stanza. Vidi il corridoio in una maniera nuova. Non la vidi come una via che portava ad un altro inferno, peggiore di quello che già mi circondava, ma lo vedevo come una via che portava ad una vita nuova, migliore addirittura di quella che mi potevo immaginare.

Angel Guardian; jdbWhere stories live. Discover now