Capitolo uno

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C'era sangue ovunque. Sangue sul pavimento, sui miei vestiti, ma soprattutto sangue che colava senza sosta dal mio braccio. Mi sedetti sul letto e iniziai a fissare il muro bianco della stanza che ormai mi ospitava da anni. Avevo solo una gran voglia di farla finita, ma purtroppo il fatidico taglio veniva rimandato sempre al giorno successivo.

Sospirai rumorosamente e mi diressi verso il lavandino della stanza dove mi pulii il braccio dal liquido rosso. Presi una benda che avvolsi attorno alla zona in questione e mi misi una felpa per nascondere l'accaduto, anche se sarebbe salato fuori come sempre. Iniziai a piangere quando sentii dei colpi fortissimi alla porta.

"Grace apri immediatamente questa porta. Sai benissimo che non puoi chiuderti dentro a chiave"
Era la voce della mia infermiera, Susan. La odiavo con tutta me stessa.

Sbuffai e in fretta pulii con un fazzoletto il sangue che c'era a terra.

"Stai calma, ti apro adesso" dissi alzando gli occhi al cielo. Le aprii la porta e subito la donna mi alzò le maniche della felpa, scoprendo le bende che da bianche erano diventate rosse.

Mi guardò negli occhi e incrociò le braccia.
"Ti sei tagliata di nuovo vero?" chiese scocciata.
Alzai le spalle. Non mi imortava più di niente. Ormai la mia vita non aveva più senso.

La donna mi prese per il polso e mi trascinò fuori. La sua stretta mi faceva male al polso. La maggior parte delle infermiere erano gentili. A me doveva capitare la stronza ovviamente.

Sapevo benissimo dove mi stava portando: dalla dottoressa Brown, la psicologa che si occupava degli adolescenti in questo ospedale. Ci andavo praticamente ogni giorno e non serviva a niente, come tutte le altre cazzate in questa clinica.
_________

Dopo il pranzo, noi pazienti avevamo due possibilità. La prima era di fare i compiti assegnati dall'insegnate che si occupava dell'istruzione dei giovani nella clinica. Io non andavo più a scuola dato che avevo 17 anni e la scuola dell'obbligo per me era finita. Non mi importava.
Il secondo modo di trascorrere il pomeriggio era restare in camera senza avere niente da fare.
Il pomeriggio era anche il momento in cui si ricevevano visite da familiari o amici. Le uniche persone che venivano a trovarmi -e le uniche persone care che avevo- erano mia madre e la mia migliore amica, nonché l'unica amica che avevo, Sara. Mia madre mi veniva a trovare solo nel fine settimana perché tutti i giorni lavorava fuori città. Sara invece, veniva a trovarmi tutti i pomeriggi. Le sue visite erano l'unica cosa che mi faceva andare avanti.

Eravamo amiche da tanto tempo. Assieme avevamo condiviso le cose brutte, ma anche le cose belle. Era l'unica persona a cui importasse di me. E per questo le ero infinitamente grata.

Dopo un po' sentii bussare alla porta, nonostante fosse aperta. Era lei. Il mio viso si illuminò. Era bellissima, come sempre. Corsi ad abbracciarla e lei mi strinse forte, baciandomi la fronte. Ci sedemmo sul letto.

"Hei tesoro, come va?" chiese Sara dolcemente.

"Il solito" dissi guardando il pavimento.

"Ti sei tagliata di nuovo?" domandò prendendomi la mano.
Sospirai e mi morsi il labbro.
Lei non disse nulla ,non era niente di nuovo dopotutto.

Ruppi il silenzio. "Lo sai che giorno è domani?"
"Il 17 marzo?" rispose lei aggrottando la fronte.

Mi faceva morire quando faceva così.
"Sì e sono anche 4 anni che sono qui" dissi con un po' di malinconia.

Erano passati 4 anni e non era cambiato niente.

Sara continuava a guardarmi e ad un certo punto mi abbracciò
"Andrà meglio vedrai" sussurrò, ma sapeva pure lei che non sarebbe cambiato nulla.

"Usciamo un giorno? Ti prego Grace. Come ai bei vecchi tempi" chiese supplicante la ragazza.

"Lo sai che non posso uscire, Sara. Lo vorrei tanto, ma non posso"

Chi faceva il bravo nella clinica nel fine settimana poteva uscire il pomeriggio con qualcuno. Fare il bravo significa per gli anoressici mangiare e prendere peso, per gli autolesionisti non tagliarsi e così via.

Io non ero brava, perciò non mi lasciavano uscire.
Sara sospirò. Era quasi sul punto di piangere. Mi dispiaceva vederla così, lei era una delle persone più importanti della mia vita.

"Andiamo in giardino?" chiese alla fine.
Annuii debolmente e finsi un sorriso.
Il giardino della clinica era semplicemente un cortile con un albero al centro. Non c'è neanche l'erba, però mi piaceva.

Le sere d'estate mi sedevo a terra e guardavo le stelle immaginando di essere un'adolescente normale.

Uscimmo assieme e ci sedemmo sul muretto.
Questa era la mia vita. Era monotona e soprattutto triste. La odiavo, ma poi accadde un fatto che la cambiò per sempre.

*spazio autrice*
Hei
Questa è la mia prima storia,spero vi piccia
Fatemi sapere che ne pensate :)

Angel Guardian; jdbWhere stories live. Discover now