Capitolo due

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"Grace apri la porta!"

Aprii lentamente gli occhi. Susan stava battendo senza sosta con forza la porta. Mi alzai sbadigliando, facendo come mi aveva detto e quello che vidi fu Susan furiosa che batteva il piede a terra ripetutamente con le braccia incrociate.

"Sono ben dieci minuti che ti chiamo e tu non rispondi" disse la donna, fuori di sé.

"Stavo dormendo" risposi fredda.

"Beh, lo sai che alle 7:00 tutti devono essere svegliati. Sei da quattro santissimi anni qui e non hai imparato le regole. Sei terribile Grace, terribile"

Se ne andò e mentre camminava, dandomi le spalle, continuava a parlarmi, ma non la ascoltavo.

"Fra trenta minuti in mensa se non te lo ricordassi"

"Vaffanculo!" Urlai in lacrime.

Chiusi la porta infischiandomene dei suoi ordini. Mi buttai sul letto continuando a piangere, dovevo sfogarmi, dovevo farlo.

Presi la lametta e incisi un taglio verticale sul mio braccio sinistro. Continuavo a piangere disperatamente, non sapevo veramente cosa fare. Pulii velocemente tutto e mi misi una felpa grigia per nascondere il disastro. Legai i capelli in una coda disordinata e mi lavai il viso. Mi guardai allo specchio notando quanto facessi schifo.

Non feci colazione e rimasi in camera. Sapevo benissimo che Susan si sarebbe arrabbiata, ma non mi importava.

Rimasi tutta la mattina in camera mia, a fissare il muro bianco.
Si erano fatte le 12:00 e avevo un incontro con la dottoressa Brown.

Mi recai nel suo studio e appena mi vide sorrise, invitandomi ad entrare.
Odiavo il suo studio. Era tutto così professionale. In realtà doveva esserlo. Insomma... come deve essere lo studio di una psicologa?

Sui muri erano appese delle lauree e vari quadri che ritraevano la signora Brown e la sua famiglia. Loro in montagna, al mare, a casa, con i nonni, al lago. Io potevo solo immaginarle quelle cose.

"Allora Grace" la voce acuta della dottoresa interruppe i miei pensieri "come va?"
Lei era gentile. Era così minuta e graziosa.

Scrollai le spalle alla sua domanda.

"Stai prendendo i farmaci che ti ho prescritto?" Continuò la donna. Intanto prendeva appunti, come faceva sempre.

"Si... ma" risposi insicura per poi bloccarmi.

"Cosa Grace?"
Era gentile, mi ero affezionata a lei in questi anni.

"Non servono a niente" le risposi sfacciata.
Lei mi guardò in silenzio per un istante, poi riprese a parlare.

"Servono se presi regolarmente" rispose continuando a scrivere sul suo blocco di carta.

"Io li prendo ogni sera e non servono a niente" contestai.

"Per te qual è il problema Grace?"
Dove voleva andare a parare?

Ripensai a tutto. Quale era il problema?
Lo sapevo e soprattutto ne ero convinta.

"Il problema sono io"

_______

Stavo tornando in camera accompagnata da Susan. Insomma, avevo diciassette anni e potevo benissimo tornarci da sola.

"Tra dieci minuti si pranza"

Disse solo questo, poi se ne andò.
Non avevo una grande fame, come sempre. Odiavo il cibo, mangiavo poco, ero sempre stata così.

Uscii dalla mia stanza. Mi stavo dirigendo in mesa, quando il mio sguardo cadde su una persona.

Quella fu la prima volta che lo vidi. Indossava una cannottiera bianca e dei jeans scuri.

Mi soffermai sul suo viso. Quelle labbra caronse che venivano pressate tra loro e quegli occhi color nocciola. Camminò verso di me e mi sorrise. Arrivò alla fine del corridoio per poi entrare in una stanza.

Non sembrava avere problemi, anzi per me non li aveva affatto. Allora che ci faceva in una clinica psichiatrica?

Poco dopo uscì dalla stanza. Mi voltai, non volevo mi vedesse, ma ormai era troppo tardi.

"Ehi dolcezza. Che ci fa una ragazza bella come te in un posto brutto come questo?"

Mi mancava il respiro. Non smetteva di fissarmi con quegli occhi.

"Ehm...io s-sono..." indicai con il pollice la mia stanza.
Cazzo. Perché Grace, perchè?!

Si morse il labbro e continuò a sorridere.
"Posso sapere il tuo nome?" Mi domandò

"G-grace" balbettai.
Stavo per piangere, però non potevo farlo davanti a lui.

"Scusami" dissi. Non suonava come una parola, ma come un suono flebile.
Dopo questo in lacrime corsi via, nella mia stanza.

Perché? Perché facevo così?
Povero ragazzo, magari voleva solo delle semplici informazioni. Perché ero così stupida?
Uscii e lo cercai con lo sguardo. Iniziai a girare per i corridoi, ma di lui neanche l'ombra.
Mi arresi e andai in mensa.

Questo non era l'orario delle visite. Allora che ci faceva lì? Se era venuto in una clinica era perché aveva un problema, ma quale?
Dovevo scoprirlo, assolutamente.

Angel Guardian; jdbWhere stories live. Discover now