Capitolo otto

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Era una storia lunga, la mia.
Complicata sicuramente.
Odiavo parlarne con gli altri. Avevo paura di non essere capita, ma questa volta era una cosa diversa. Avevo la sensazione di poter dire a Justin tutto tranquillamente.
Volevo buttarmi, almeno per questa volta.

"Sei sicuro di volerlo sapere? È un po'... ecco, noiosa" dissi accennando un sorriso.

"Certo. Ne sarò molto felice"

Sorrisi e buttai fuori tutto d'un fiato.
"I miei genitori non sono mai andati veramente d'accordo. Litigavano sempre, dalla mattina alla sera. Li sentivo dire che la causa della loro infilicità ero io, che se io non fossi mai nata, loro sarebbero andati a fare un'altra vita e questo faceva male. Quando avevo dieci anni si separarono. Mio padre andò in Brasile e non l'ho sentii più. Poi ci fu un periodo in cui io e mia madre stavamo bene assieme. Eravamo felici. Lei aveva un buon lavoro, che a volte la teneva lontana da me, ma stavamo bene. Poi iniziai le medie. Ero sola, perché le mie altre amiche erano in altre scuole. Subito iniziarono a prendermi in giro. Ogni giorno. Mi escludevano sempre, ma non solo: mi umiliavano davanti a tutta la scuola. È in quel periodo ho iniziato a... tagliarmi"

Faceva male ripensare al mio passato. Solo a ripensare agli insulti che ricevevo, volevo piangere. Anche a distanza di anni, facevano ancora male. Soffrivo già per la mia famiglia distrutta e anche i bulli si mettevano in mezzo.

"Quanti anni avevi?" Mi chiese. Strano. Aveva ascoltato attentamente tutto quello che avevo detto.

"Dodici" risposi subito.
Continuai.
"Andai avanti così per un anno circa. Poi, una sera, mia madre si accorse di tutto e decise di portarmi qui. Avevo tredici anni. Questo posto mi ha solo peggiorata. In quel periodo andavo ancora a scuola, i miei compagno sapevano tutto e indovina? Le prese in giro erano aumentate. Con molta difficoltà terminai le medie. Poi andai al liceo. Ero convinta che venire presi in giro alle medie fosse normale, pensavo che al liceo sarebbe cambiato tutto visto, che le persone sarebbero state più mature. Però mi sbagliavo. Continuavano e continuavano. Una sola cosa era cambiata dalle medie. Lì mi picchiavano pure. Poi, quando ebbi l'occasione di abbandonare la scuola, lo feci. E adesso eccomi qua! Perlopiù mia madre si è trasferita a New York per lavoro e... la mia vita fa veramente schifo"

Dopo aver finito scoppiai a piangere, ma comunque mi trattennii in modo di far uscire solo poche lacrime.
Sentii un braccio avvolgermi le spalle.

"Ne hai mai parlato con qualcuno? Qualche amica?"

Non capivo perché cercava di aiutarmi.

Annuii velocemente.

"Bhe" continuò "scommetto che puoi farcela"

Non dissi nulla, ma dentro di me ridevo, eccome se ridevo.

"Io ti starò vicino"

Involontariamente, mi misi a ridere.

"Guarda che sono serio"
Aveva odore di vaniglia.
Quell'odore mi ricordava l'odore della casa di una mia compagna di classe alle elementari.

"Senti Justin, so già come andrà a finire. Cercherai di aiutarmi, ma non ce la farai. Non hai la minima idea di quanto io sia complicata. Poi, visto che non riuscirai ad aiutarmi, mi liquiderai con qualunque scusa possibile. Mi lascerai da sola e io mi salverò con le mie forze come ho sempre fatto. Quindi ti do un consiglio: lasciami stare e non legarti a me, perché non voglio farti soffrire"

"Peccato che l'ho già fatto"

Quel ragazzo aveva il potere di azzittirmi. Odiavo le persone che facevano questo.

"Che fai per passare le giornate?"
Perché questa domanda?

"Leggo" risposi.

"Poi?"
Ma perché non mi lasciava in pace?

"Niente. Non faccio niente per passare le giornate. A volte immagino. Immagino essere una ragazza di diciassette anni normale come tante altre. Immagino di svegliarmi la mattina, con la mamma che mi da il buongiorno. Immagino di andarena scuola. Immagino di avere tanti amici pronti ad aiutarmi. Poi, il pomeriggio torno casa e studio un po'. Dopo vado all'allenamento di nuoto per tenermi in forma. Alle 19:00 quando finisco, il mio ragazzo mi riporta a casa con la sua moto, ma prima di salire, ce ne stiamo fuori seduti sul sotto casa mia muretto a pomiciare un po', ma in silenzio per non essere scoperti dalla mia famiglia. Salgo a casa. Cemiamo tutti assieme e aiuto un po' la mia sorellina a fare i compiti. Me ne torno in camera e passo giusto un po' di tempo al computer fino a farmi venire sonno, per poi andare a dormire. Immagino di essere felice."

Continuava a guardarmi.
Non diceva niente.
Poco dopo me ne pentii di aver detto quelle cose. In fondo lui non aveva colpe,cercava solo di aiutarmi.

"Scusa" gli dissi "sono solo una stronza. Mi dispiace"

Continuavo a guardare i suoi occhi. Non erano esattamente color nocciola. Erano più color miele, mi ci perdevo dentro. Erano i classici occhi che nascondevano un intero mondo. Un piccolo mondo pieno di meraviglie e di magie.
Non riuscivo a smettere di fissarli.

Grace è pregata di ritornare sul pianeta Terra.

"Non devi scusarti. Non hai fatto niente"
Sorrisi come una cretina.

"Ti va se andiamo a mangiare qualcosa? Mi piace molto chiacchierare con te, ma si è fatta ora di cena" Chiese sorridendo gentilmente.
Annuii senza accorgermene ed era troppo tardi per dire di no.

Andammo in mensa.
La cena di oggi prevedeva spaghetti al pesto e petto di pollo.
Avevo sempre odiato il cibo della clinica.

Con i nostri vassoi, io e Justin ci sedemmo.

Io sono Grace. Sono forte. E non ho bisogno del cibo.

Guardai per un attimo Justin. Mi piacque la sua naturalezza nel mangiare senza preoccuparsi di quante calorie contenesse quella carne.
Addentai due bocconi minuscoli del petto di pollo.

"Ti conviene mangiare. Sei già pelle e ossa di tuo. Non vorrai peggiorare le cose" disse Justin con la bocca piena.

"Oggi non ho fame" risposi alzando le spalle cercando di dirlo nel modo più naturale possibile.

E neanche domani avrò fame.
Nemmeno dopodomani.
Neanche tra tre giorni.
Non penso avrò più fame.

Angel Guardian; jdbDove le storie prendono vita. Scoprilo ora