XVIII

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Mi sveglio con l'odore di bruciato che ormai ha invaso anche camera mia, nonostante ci fosse la porta chiusa.
Grugnisco e mi giro dall'altro lato, "Luke" grido affondando la faccia nel cuscino.

Niente, nessuna risposta. Allora mi tocca di alzarmi. Trascino i piedi fino alla cucina, dove vedo Luke intento a scacciare un nube di fumo nera con uno straccio in mano che muoveva come una bandiera.

"Che stai facendo" strillo aprendo le finestre. "Cosa combini?"
"Volevo farti una sorpresa" dice avvilito sedendosi sulla sedia. "Ma ho bruciato tutti i pancakes."

Scuoto la testa e gli verso un bicchiere colmo di succo d'arancia, "tieni".
Lo afferra e picchietta le dita sulla superficie di vetro mentre io finisco la pastella che aveva preparato.

Gli piazzo davanti un pancake perfettamente dorato, alto un centimetro.
"Non avevo bisogno di una sorpresa."
"Volevo solo stupirti."
"Bruciare la cucina sicuramente mi ha stupito."

Lo guardo mangiare in silenzio il suo pancake ancora caldo. Incrocio le braccia al petto spazientita.
Non può spezzarmi il cuore e tornare quando gli pare e piace. Non può tornare senza preavviso e tentare di bruciare la mia cucina.

"Mamma" sento gridare. "Mamma!"
Vado in camera di Marco e lo trovo in piedi attaccato alle sbarre del suo letto.
"Ciao, amore mio" dico prendendolo in braccio a baciandolo su una guancia.
"Ciao, mamma. Papà?"

Papà, papà. È mancato per un mese e lui non cerca altro che il suo papà, come se tutto l'amore che gli avessi dato io se lo fosse dimenticato, preso e buttato via.

"Vai, vai da papà, è un cucina."
Marco corre dal padre mentre io m'infilo in camera da letto, frugo nell'armadio e metto un paio di jeans e una maglia bianca.

"Esco" dico guardando Luke. "Puoi stare con Marco?"
"Certo che posso" risponde prendendo il bambino in braccio. "Dove vai?"
"In giro."

Me ne vado, prendo la macchina e mi infilo nel primo Starbucks che incontro sulla strada, a dodici intensi minuti da casa. Ordino un frappuccino alla panna e un cupcake ai mirtilli.
Mi piazzano tutto sul tavolo, il dolce è su un piccolo piattino di ceramica bianco, che fa rumore non appena tocca la superficie di legno.
Bevo e mangio un pezzo di cupcake costellato di piccoli mirtilli blu.

Dopo un'ora è ancora tutto lì, il bicchiere pieno e un cupcake a metà.
Guardo di continuo il cellulare che ho appoggiato di fianco alla mano.
Aspetto pazientemente che abbiano bisogno di me.

E poi suona, il mio iPhone prende a squillare imperterrito. Rispondo subito, non appena vedo la faccia di Luke apparire sullo schermo.

"Pronto?"
"Bea, ho combinato un casino."
"Cos'hai fatto? Marco come sta?"
"Siamo in ospedale."
"Sto arrivando."

Gli chiudo il telefono in faccia. Non penso a niente, sono solo preoccupata. Volevo che avessero bisogno di me, non che mi chiamassero per un'emergenza simile. Non so nemmeno cos'è successo, se sta male Marco o Luke.

Guido fino all'ospedale, parcheggio la macchina dove capita, nel mio posto libero che trovo. Corro verso l'entrata, parlo con un signore sulla cinquantina, coi capelli bianchi.
Mi guarda dagli occhiali spessi come un fondo di bottiglia.

"Dica."
"Hemmings, cerco Luke Hemmings, mio marito."
Alza la cornetta poggiata sulla scrivania dietro al bancone, "sì, Hemmings" farfuglia. "Va bene."
"Dove devo andare?"
"Pronto soccorso."

Cammino svelta, inciampo sull'entrata del corridoio del pronto soccorso.
Guardo le facce annoiate delle persone che aspettano sedute sulle sedie, poi vedo Luke con nostro figlio in braccio.

"Marco" dico inginocchiandomi davanti a loro. "Cos'hai fatto, tesoro?"
Aveva un taglio sulla guancia, già cucito con i punti, l'avambraccio era un livido unico.
"Mamma."

Lo guardo, triste, sta per piangere, ha tirato in fuori il labbro.
Inizia a singhiozzare quando lo abbraccio e lo stringo a me.

Lo prendo in braccio e mi siedo di fianco a Luke, che mi guarda con la mano incollata alla bocca sottile.
"È caduto dalle scale."
"E come mai è caduto dalle scale?"
"L'ho lasciato da solo un attimo."

Scuoto la testa ed esce una ragazza giovane con un completo blu da infermiera. Avrà avuto la mia età.

"Signor Hemmings" dice avvicinandosi. Gli porge una cartellina bianca con un orsacchiotto stampato sopra, di fianco al nome di Marco. "Suo figlio sta bene, il braccio è a posto. Ha preso solo una botta."
Un "grazie" e ce ne andiamo. Torniamo a casa, io e Marco nella mia macchina e Luke nella sua bmw.

Scendo e tiro giù Marco, slegandolo dal seggiolino.
"Stai bene?" gli chiedo baciandolo sulla guancia.
"Sì."

Entriamo in casa e lui balza subito sul divano mentre io vado in cucina a preparargli un piatto di pasta.
Luke mi raggiunge come un cane bastonato, si siede sullo sgabello, "mi dispiace."
"Non ne voglio parlare."
"Nemmeno io, ma mi dispiace."

Riempio la pentola blu di acqua e la metto sul fornello più grande, appena acceso. Mi volto di scatto verso Luke, appoggiando entrambe le mani sul tavolo.

"Devi stare più attento, Marco è piccolo, come puoi pensare di lasciarlo solo? Non devi togliergli gli occhi di dosso neanche per un secondo."
"La prossima volta starò più attento."
"Non ci sarà una prossima volta."
"È mio figlio, Bea. Non puoi proibirmi di stare con lui."

Alzo le mani, "come vuoi."
Luke si alza, lo vedo andare fuori in giardino e prendere la palla di Marco, rientra con quella sfera sotto braccio e si piazza davanti a nostro figlio.
"Andiamo fuori a giocare a calcio, che ne dici?"
"Sì."

Luke Hemmings cerca di fare il padre e ci riesce malamente. Marco si è appena fatto male e lui lo porta fuori a giocare a calcio. Ma io ho deciso di dargli un'opportunità, in fondo ha il diritto almeno di cercare di essere un padre degno di quel nome.

Gli guardo da dentro casa calciare la palla. Prima Luke gli mostra come si fa, all'inizio Marco non ci riesce, poi, dopo dieci minuti, ce la fa.
Ridono, Luke gli chiede di batter il cinque alzando quella sua mano enorme.

"È pronto da mangiare" annuncio affacciando la testa fuori. "Marco, andiamo a lavare le mani."
Lui mi raggiunge, mi dà la mano mentre Luke si pulisce i palmi sui jeans neri. Alzo un sopracciglio e rido, "anche tu, Luke, a lavare le mani."

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Come al solito niente da dire, spero solo vi piaccia.

Non dimenticate di commentare e votare. Grazie a tutti.

Sotto il cielo d'ottobre, l.hWhere stories live. Discover now