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"Mi dispiace, Bea"; ecco la goccia che fa fatto traboccare il vaso, l'unica cosa che non doveva dire e che invece ha sputato fuori senza nemmeno un accenno di preavviso. Sapeva che mi avrebbe fatta arrabbiare, ormai mi conosce bene, e allora perché dispiacersi proprio ora? Perché dire quelle cose in questo momento?
Il mio livello di rabbia si è alzato a dismisura.
"Mi dispiace Bea?! Mi stai prendendo in giro? Sei praticamente sparito, come se non te ne importasse più niente di me e ora ti presenti qui pretendendo che io ti perdoni dopo tutto quello che mi hai fatto?" sbotto. "Pensi di riuscire a cavartela con un semplice mi dispiace?"
Stringo le braccia al petto più forte che posso e quasi mi manca il respiro. Sento il sangue ribollirmi nelle vene, non sono mai stata così arrabbiata prima d'ora e cercare di mantenere la calma ormai mi sembra solo un obiettivo lontano e completamente irraggiungibile.
"Non volevo farti del male" dice Luke sedendosi sul letto di fianco a me.
"E cosa pensavi, di rendermi felice?"
Si morsica le unghie, toglie le pellicine fino a farsi sanguinare e tiene il pollice in bocca. Lo guardo continuare a torturarsi le dita senza dire una parola. Nessuno dice niente, il silenzio diventa così fastidioso che non ne posso più e mi alzo. Inizio a camminare avanti e indietro cercando di pensare a cosa potrei dire, ma ho ancora talmente tanta rabbia dentro che la mia mente diventa una pagina bianca.
Mi sento presa in giro, è come se stessimo giocando a scacchi e lui stia facendo apposta a fare una serie di mosse sbagliate. Mi vuole far vincere perché lui ne ha già avute abbastanza di vittorie, mi ha battuta già troppe volte in questi due mesi e ormai sono davvero sfinita.

Appoggio il fondoschiena alla scrivania e tengo lo sguardo basso. Le lacrime fanno capolino ai miei occhi e mi si appanna la vista mentre mi guardo i piedi, ormai diventati soltanto due macchie senza contorno. Mi si forma un nodo stretto alla gola e sembra che qualcuno mi stesse avvolgendo il collo con le mani. Faccio fatica a deglutire. Il mio corpo sta sfuggendo dal mio controllo, sento sto per scoppiare in un pianto disperato e non me ne frega più niente, adesso non voglio più scappare dai miei sentimenti.
"È meglio che tu vada" dico con la voce rotta dal pianto.
Mi asciugo la guancia con il dorso della mano e tiro su col naso. Muovo la gamba nervosamente mentre singhiozzo il più silenziosamente possibile. Sto piangendo come una fontana, sembro non smettere più e invece mi blocco proprio nel momento in cui sento le braccia di Luke avvolgermi. Mi lascio cullare da quell'abbraccio che avevo tanto desiderato in questi mesi, dopo tanto mi sento di nuovo bene. Mi era mancato tutto questo, mi era mancato sentire le sue braccia attorno attorno al mio corpo. Riprendo il ritmo normale del respiro mentre tengo la testa appoggiata al suo petto, il suo profumo è ancora lo stesso.
Passa una mano sulla mia schiena accarezzandomi delicatamente e con l'altra mi asciuga una lacrima.
"Ti odio" sussurro stringendo tra i pugni la stoffa della sua maglia.
Non risponde e continua a tenermi stretta tra le sue braccia, sa che non lo odio affatto e sa che, al contrario, lo amo ancora da morire. Lo percepisce.
"Ti odio" ripeto.
Alzo lo sguardo e vedo che mi scruta con i suoi occhi azzurrissimi, ha la stessa espressione sofferente di quando ci siamo salutate quel giorno all'aeroporto. È dispiaciuto, forse gli faccio pena.
"Perché?" chiedo stando ancora avvinghiata a lui. "Perché mi hai lasciata?"
"Dovevo farlo, avresti sofferto troppo. Avremmo sofferto entrambi."
Cerco di staccarmi da Luke ma le sue braccia sembrano incollate a me.
"Luke, credo sia davvero ora che tu vada."
Mi lascia andare e si mette le mani in tasca prima di aversi toccato i capelli. Tiene lo sguardo basso.
"Non mi vieterai di starti vicina, vero?"
"No, non lo farò. Puoi venire quando vuoi, a trovare il bambino, o semplicemente a portarmi quantità industriali di gelato."
Accenna un timido sorriso e lo vedo esitare, di nuovo. Si porta una mano sulla bocca e mi guarda, zitto. Mi fa strano vederlo così taciturno, mi ha sempre detto tutto quello che pensava senza esitare nemmeno un momento e ora ha paura persino a dirmi ciao.
"Cos'hai?"
"Posso vedere la pancia?"
Afferro i lembi della maglia e alzo leggermente la stoffa, scoprendo il piccolo rigonfiamento appena sopra gli slip. Indico un punto vicino all'ombelico e vedo Luke avvicinarsi sorridendo. Posa una mano sul mio ventre e sorrido perché non me l'ha chiesto, è stato un gesto spontaneo. Sfioro il dorso della sua mano con le dita e traccio il contorno della sua impronta sulla pelle.
"Possiamo vederci domani, se vuoi" dico. "Mia madre va da a trovare i nonni a Perth per una settimana, quindi avrò casa libera."
"Va bene" dice subito. "Come hai convinto tua madre a lasciarti sola?"
Stacca la mano gelida dalla pancia e io riabbasso la maglia che mi cade sulle cosce.
"Hey, ormai ho diciotto anni."
Incrocio le braccia al petto e Luke sorride mentre cerca di scompigliarmi i capelli. Scaccio il suo braccio con le mani e cerco di ricompormi guardandomi al lungo specchio appoggiato al muro. Il riflesso di Luke è dietro al mio, mi guarda ancora, non riesce a staccare gli occhi da me.
"Ho lasciato l'università." Si siede di nuovo sul letto. "Ci hanno offerto di pagarci un paio di serate, io e gli altri abbiamo deciso di accettare. Dobbiamo suonare per un paio d'ore e ci pagheranno 200 dollari a testa."
Lo sguardo dallo specchio, ha le mani incollate l'una all'altra e se le porta sulle cosce ricoperte dalla stoffa nera dei suoi skinny jeans.

I 5 Seconds Of Summer, da quando Luke e Ashton se ne sono andati in Inghilterra non ne ho più sentito parlare. Li adoravo, suonavano buona musica, ma la cosa che in assoluto amavo di più era stare nei backstage di quei piccoli locali pieni zeppi di ragazzi e che profumavano di legno vecchio. L'adrenalina che vedevo negli occhi di Luke, Calum, Michael e Ashton prima degli show mi faceva fremere. Vederli così uniti e felici di fare quello che amano mi rendeva quasi invidiosa di quella passione che li accendeva come scintille.

"Pensavo ti piacesse l'università" dico girandomi.
"Mi piaceva, ma ho dovuto farlo. Per te, per voi."
"Non ti voglio impedire di fare quello che ti piace, io me la so cavare da sola."
Luke scatta come una molla e si avvicina a me.
"Te la sai cavare da sola, forse, ma di sicuro non sai prenderti cura anche di un'altra persona. Io voglio fare il mio dovere, voglio crescere questo bambino con te. Non ho intenzione di lasciarti sola un'altra volta, non sono pronto a fare un'altra cazzata."
Incrocio le braccia al petto e gli guardo sovrapporre i piedi uno sopra l'altro. Allora è consapevole di aver fatto un gran errore ad avermi lasciata. Anche lui è stato male, abbiamo sofferto entrambi e il pensiero che mi abbia lasciata mi tormenta ancora, facendomi sorgere un sacco di domande senza risposta. Vorrei tanto sapere cosa gli sia passato per la testa quando mi mandò quel messaggio.
"Bea, voglio essere un bravo padre. Insieme o separati, voglio essere presente per questo bambino."
Muovo le dita sulla pelle del mio braccio facendomi venire i brividi da sola.
"Va bene" dico. "Non ti impedirò di fare nulla, te l'ho detto. Puoi venire quando vuoi."
Di sicuro vedere Luke tutti i giorni non mi avrebbe aiutata a dimenticarlo, ma lui vuole prendersi cura di me e del bambino e non posso tenerlo lontano da noi.
"Grazie" dice posandomi un bacio sulla fronte. "Forse è meglio se vado."
Accenno un si con il capo e lo accompagno fino alla porta. Appoggio la mano sul pomello d'ottone e apro.
"Allora ciao" dice. "Ci vediamo domani."
"Ciao."
Chiudo la porta e mi volto di spalle, mia madre mi sta fissando un mestolo sporco di sugo in mano.
"Luke non rimane più a pranzo?"
"No, mamma."

Sotto il cielo d'ottobre, l.hWhere stories live. Discover now