Alla Baita (Parte 11), 12 febbraio 2020

1 0 0
                                    

Una valanga, lo sparo aveva generato una valanga.

La prima cosa che mi è passata per la testa è stata quella di levarmi le ciaspole e correre, correre con quanto fiato avevo in corpo e scappare, scappare il più lontano possibile. Ma poi ho pensato a quei quattro.

Io avevo il riparo degli alberi, loro erano in campo aperto. Sarebbero stati raggiunti in pieno dalla slavina.

Così sono tornato sui miei passi per correr loro in aiuto ma pochi secondi dopo sono stato investito da un forte spostamento d'aria a cui si è aggiunta in una frazione di secondo la neve. Poi tutt'a un tratto si è fatto un silenzio tombale.

Ho raggiunto il declivio dove avevo abbandonato i quattro clandestini. Non c'era anima viva. Ho pensato che dovevano essere sotto a chissà quante tonnellate di neve. Forse sarebbero stati rivenuti fra un paio di mesi, con l'arrivo della primavera, o forse fra un qualche decennio grazie al progressivo surriscaldamento globale. Dovevo pensare a me stesso. Era buio, faceva freddo, ero disperso in mezzo alle Alpi Cozie senza né cibo né acqua, ed equipaggiato in modo davvero pessimo. E poi i lupi.

Sono tornato indietro, ma il bosco pareva tutto uguale. La scia di passi che avevamo lasciato nella neve durante la salita era scomparsa. Ho ciaspolato per quasi due ore in un silenzio irreale. Ho pensato a tante cose. Ho pregato. La logica mi diceva che se avessi proseguito in discesa prima o poi un paese, un bivacco o una baita, l'avrei incontrato.

Penso si sia trattato di un vero e proprio miracolo perché, dopo un'eternità, mi sono ritrovato dinanzi il rifugio Cassetti.

Ad aspettarmi non c'era né Bruno, né qualcuno dei quattro clandestini, bensì un altro uomo vestito con abbigliamento tecnico. E anche lui aveva in mano una pistola.

Il blog di ArmandoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora