Alla Baita (Parte 10), 12 febbraio 2020

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Alle 17 circa di venerdì 7 febbraio 2020 ho lasciato il rifugio Cassetti alla volta del Colle della Scala, un'esperienza che credo mi ricorderò per tutta la vita.

Già sarebbe stato impossibile tentare un'impresa simile con il giusto allenamento e l'attrezzatura necessaria. Vestito com'ero, con giacca a vento, jeans e scarponcini da ufficio agganciati a un paio di vecchie e scalcinate ciaspole simili a racchette da tennis ero sicuro che sarei andato incontro a una morte certa.

Gli altri quattro erano equipaggiati molto meglio di me. Dal caveau avevano recuperato le più moderne attrezzature da montagna. L'unica cosa che mancava loro era un dispositivo GPS, cosa che probabilmente doveva avere Bruno.

Ho cercato in tutti i modi di prender tempo sperando in un suo ritorno. Ho detto loro che era una pazzia partire alle cinque del pomeriggio, che sarebbe stato meglio riposare e attendere l'indomani. Ma Youssef, e soprattutto la pistola di Bruno che mi ero scordato sulla tettoia del gruppo elettrogeno, parevano di tutt'altra opinione. Lami, che parla un inglese invidiabile, mi aveva spiegato che avevano sborsato ben € 5000 a testa per esseri condotti in Francia. Ma lo scorso lunedì erano sopraggiunti alla baita alcuni agenti di polizia e Bruno aveva costretto lei, suo padre e i due magrebini a nascondersi nel rifugio sotterraneo per non essere scoperti. Poi la corrente deve essere saltata mettendo fuori uso la serratura elettronica e loro sono rimasti bloccati lì sotto.

Youssef era convinto che fossi in combutta con Bruno e che dopo la visita della polizia, avendo già intascato i soldi, per non rischiare di essere beccati, avessimo deciso di lasciarli lì sotto a morire di proposito. Bruno era sparito e, come suo socio, spettava al sottoscritto condurli in Francia.

Abbiamo camminato per poco meno di due ore in mezzo alla neve seguendo un'indicazione spartana agganciata a un paletto appena fuori dalla baita e sulla quale c'era scritto: Colle della Scala (Guglia Rossa) 2h.

Quando ci siamo fermati a prender fiato eravamo appena usciti dal bosco. Dinanzi a noi si apriva un declivio glabro di alberi, di una pendenza non da scherzo e completamente ammantato da tonnellate di soffice e inviolata neve, che si inerpicava fino alla vetta alla nostra destra e scendeva per un duecento metri alla nostra sinistra fin dove ricominciava il bosco. Era ormai buio. La luna riverberava di una luce bluastra sul manto innevato.

Per tutto il tragitto Zahra non aveva aperto bocca, mantenendo un atteggiamento silenzioso e compassato. Helon aveva preso in spalla la figlioletta che si era addormentata. Youssef chiudeva la fila con la pistola. Io stavo nel mezzo.

Penso saremmo andati incontro a morte certa (ormai non sentivo più le dita dei piedi) se a un certo punto non si fosse levato nella notte un inquietante ululato.

― Lupi ― mi è uscito dalla bocca quasi automaticamente.

Lami si è svegliata. Helon ha detto qualcosa in francese a Youssef. I due hanno preso a discutere animatamente. Credo che Helon volesse tornare indietro. Ma Youssef gli ha puntato contro la pistola intimandolo a riprendere il cammino. Helon ha fatto un cenno con la testa a Lami, ma invece di rimettersi in marcia si è avventato su Youssef. I due sono rotolati giù per il pendio per qualche metro.

Mi sono guardato intorno: ecco l'occasione per fuggire.

― Andiamocene ― ho detto in inglese a Lami e a Zahra. Zahra penso non mi abbia capito. Lami ha risposto che avrebbe aspettato suo padre.

Sono arretrato fino agli alberi. Correre con le ciaspole è impossibile, ve l'assicuro. Ho proseguito come un incrocio tra una papera zoppa e un pinguino con seri problemi di equilibrio insinuandomi nel bosco per un duecento metri. Poi ho sentito uno sparo. Ho alzato gli occhi verso la cima della montagna.

C'era buio, ma sotto la luce della luna ho visto nitidamente la neve staccarsi dalla cima.


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