Margot

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Charles

Ero seduto, in silenzio, sul divano  di casa, Charlotte era appena andata via portandosi con se tutte le sue cose e ora questo appartamento mi sembrava vuoto. Ci eravamo a malapena guardati in faccia per tutto il viaggio di ritorno, l'avevo ferita, ne ero consapevole e mi dispiaceva a morte. Ma forse avevano fatto la cosa giusta, le cose non funzionavano da un bel po'  e costringerci ad andare avanti era inutile; avrei preferito spiegarglielo in maniera migliore, invece che ubriaco in una discoteca, ma non avevo il coraggio di riparlarne. "Mi dispiace" era l unica cosa che ero riuscito a dirle, prima che varcasse la soglia e sparisse.

Non avevo fatto altro che rigirarmi tra divano, letto e cucina tutto il giorno, cercando mille modi  per tenere la mia testa occupata. Ma sembrava impossibile, ogni cosa mi riportava Selene alla memoria ed era la peggior tortura che  potesse affliggermi. Ormai ero rassegnato, non importasse quanto cercassi di migliorare le cose tra noi, era una guerra persa, non era in grado di affrontare le cose, non sarebbe mai cambiata. Non sapevo neanche perché me la stavo prendendo così  tanto. Stavo mandando tutto a puttane per lei? Le gare, le mie serate, la mia relazione. Aveva ragione Carlos, era inutile, mi stavo solo facendo del male, era come se stessi cercando di salvare un morto. Non avrei mai dovuto provarci, sin dall' inizio.  Avremmo dovuto rimanere I Charles e Selene che si scannavano durante ogni gara, che si lanciavano frecciatine durante le interviste  e che erano strafottenti l' uno dell' altro. Ma tutto questo teatrino, tutte le mie certezze sul fatto che la odiassi e che fosse una  figlia di papà erano crollate, come un castello di sabbia sulla riva, quando aveva, senza rendersene conto, calato la sua maschera, mostrandomi solo una ragazza insicura, spinta al suo limite, con la perenne paura di fallire. Mi ero sentito compreso, mi ci ero rispecchiato, mi ero sentito meno solo. Pensavo di poterla aiutare. Ma a che costo continuavo a farlo? non puoi cambiare una lampadina se lei stessa non vuole illuminarsi,no?

Dovevo togliermela dalla testa. Dovevo farla sparire dalla mia vita. Era come un cancro, un tumore maligno che si stava facendo strada in me, stravolgendomi completamente. Ero attratto quanto spaventato dall' effetto di adrenalina che scatenava nel mio corpo ogni volta che anche solo la sfioravo. Era pericolosamente attraente e, nella sua magnificenze, stava rubando, pezzo per pezzo, ogni parte di me. Mi aveva da prima catturato gli occhi, la prima volta che aveva messo piede nel paddock, tre anni fa, poi, gara dopo gara, si era appropriata della mia concentrazione, costringendomi a spingermi oltre il mio limite, spinto dal desiderio di batterla, poi erano subentrate le mie emozioni, la mia rabbia e il mio nervosismo, spinte dal suo suo carattere strafottente, il suo modo di provocarmi che mi faceva uscire di testa, le voci che giravano sul suo conto e le sue continue battutine. Ma ora stava scavando nella parte più profonda di me prendendone pezzi minuscoli, ma che lasciavano ferite che non smettevano di sanguinare e che bruciavano, infettando ciò che era rimasto sano. 

L' immagine della sua schiena che si allontanava a passo svelto da me era fissa nella mia testa. L' avevo vista troppe volte  e quelle ferite bruciavano ogni volta che scappava. Mi avvicinava e poi mi buttava via, come uno stupido yo-yo,  e avrebbe continuato finché il filo non sarebbe stato talmente fragile da spezzarsi, facendo rotolare quel cerchio di plastica sotto un divano e dimenticato per sempre. 

Non potevo impedirmi dal chiedere perché. Perché continuava a scappare? Cosa avevo che non andava? perché non mi diceva le cose come stavano? 

Ma che cazzo stavo dicendo?! me le aveva date le risposte, no? "stai lontano da me" e lo avrei fatto, se le sue parole avessero avuto una correlazione con i suoi gesti. Era brava a disprezzarmi a voce, ma il modo in cui si era accoccolato al mio petto quella sera, il modo in cui le sue labbra premevano contro le mie sul pavimento di quel bagno, erano tutto l' opposto. Ed io ero stufo dei suoi giochetti, volevo delle risposte chiare.

"Ti dispiace? Tutto tace mentre cerco pace
Non sono capace perché sai che più fa male più mi piace
Lei loquace quanto audace e capricciosa
Perspicace, in più vorace e vanitosa
Ma la notte non si piace e giace sola nel suo letto
Stretto per una persona
Balleremo ancora in mezzo al fango
Mentre canto, tu sei come Marla, sei il mio cancro"

cascare nei tuoi occhi - Charles LeclercWhere stories live. Discover now