Come la Luna

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Charles

 Rinsavii quando la mia vettura colpì la sua e finimmo entrambi fuori dalla pista. Avevo perso la concentrazione, i ricordi di quella sera mi avevano attaccato e staccato dalla realtà. Come sempre  durante le  ultime due settimane. Subivo in silenzio la sua sfuriata, ero troppo confuso per risponderle a tono. Aveva ragione avevo fatto un sorpasso irregolare, ero talmente concentrato sul pensiero di evitare di farla vincere che avevo causato un incidente. Ma era questo quello che volevo alla fine, no? distruggerla, impedirle di vincere. E allora perché mi sentivo così ora? Perché mi sentivo come se stessi facendo una grandissima cazzata? Quando mi spinse faticai a controllare il mio equilibrio, ero stordito. La fissai allontanarsi in silenzio fingendo di non notare le lacrime che nascondeva sotto la visiera, convinta che nessuno potesse vederle. Ma l' avevo fatto e il mio cuore sobbalzò a quella visione, lo stomaco mi si strinse in una morsa. Stava piangendo. Mi sedetti sul ciglio della strada aspettando la macchina che mi riportasse ai box, il cuore mi rimbalza nel petto, mi sentivo impazzire. Volevo distruggerla, rovinare la sua gara più importante, ferirla; era quello che volevo e lo avevo ottenuto, e non riuscivo a spiegarmi il senso di colpa e rimpianto che provavo ora.  

Quando arrivai nel box salutai a malapena gli ingegneri, mi tolsi il casco e mi sedetti in un angolo in silenzio e, per un attimo, desiderai spaccare la telecamera che sentivo fissa su di me,  mi stava facendo salire i nervi. Arcai le sopracciglia nascondendo il mio nervosismo e mi coprii il viso con un asciugamano, il che venne preso come un gesto per asciugarmi il sudore dal volto, ma lo stavo usando più come mezzo di difesa verso il mondo esterno, con il quale non volevo avere a che fare al momento, anche se  era comunque meno incasinato della mia testa. Non sopportavo più stare qui in mezzo, nel caos, esposto e con i giornalisti già pronti ad assalirmi di domande. Dovevo allontanarmi.

 Uscii sul retro del box, dove non c' era mai nessuno. Volevo stare da solo e cercare di risolvere il casino che avevano nel cervello. Appena misi piede all' esterno il mio cuore balzò un battito. Mai nella vita avrei pensato che, varcata quella porta, avrei visto la scena che mi si presentò davanti. Selene era accovacciata a terra, le gambe raggomitolate al petto, le braccia avvolte intorno alla testa, il petto che si muoveva velocemente per i singhiozzi e il respiro accelerato. Sembrava nel panico più totale. Cercai di obbligare il mio corpo a tornare indietro e far finta di niente, ma c' era una forza esterna che mi spingeva verso di lei, che mi diceva di aiutarla, di vedere se stesse bene; e mi sentivo impotente contro di essa. Mi avvicinai lentamente, cercando di non spaventarla, mi accovacciai silenziosamente di fronte a lei, la mia mano tremava mentre la poggiavo sul suo ginocchio e, appena i nostri corpi furono in contatto, sentii una scossa pervadermi il corpo facendomi tremare. Lei sussultò al contatto e alzò il viso verso di me, la guardai e, per un momento, mi sembrò che il mondo si fosse fermato, come se tutto avesse cessato di esistere e ci fosse solo il silenzio intorno a noi. Quel silenzio che ormai erano anni che desideravo sentire. voleva urlarmi contro, accusarmi, insultarmi e dirmi di andar via, lo sapevo; ma sembrava non esserne in grado, faceva fatica addirittura a respirare. "Stai bene?" Le chiesi cauto, non sapevo che diamine stessi facendo. Io volevo questo,  volevo distruggerla. perché ora mi importava tanto? Lei annuii. Mentiva, non poteva stare bene, poteva cercare di convincermi quanto voleva, ma sapevo bene com' era un' attacco di panico, sapevo che non stava bene.  Le tolsi delicatamente le mani dal viso cercando di ignorare la sensazione che si scatenò nel mio corpo a quel contatto. Non volevo conoscerla, farla diventare parte di me. Non volevo provarla. "Hey...è tutto ok, respira" Se fossimo stato in circostanze diverse mi avrebbe spinto via e mandato a quel paese, ma non ora. Aveva bisogno di questo, aveva bisogno di conforto, di aiuto. E per quanto volesse negarlo a se stessa, lo sapeva anche lei. Fissai gli occhi nei suoi pregandola di ascoltarmi, di farsi aiutare. Ero l' ultima persona che ne aveva  il diritto, ma ero anche l' unica ad essere lì per aiutarla ora. "Va tutto bene...respira" cercai di fare dei respiri profondi per aiutarla a stabilizzare i suoi.  Sentivo l' incertezza in lei, non voleva farsi aiutare, mostrarsi a me in quelle condizioni, ma non l' avrei lasciata così, e per  quanto questo  gesto mi sembrasse il più lontano da me possibile, sentivo il bisogno di aiutarla. Non potei fermare il mio cuore dal provare empatia. Conoscevo bene quella sensazione. La sensazione di panico, del respiro che ti si bloccava in gola, della testa che girava. Del desiderio di svanire nel silenzio.  chiusi gli occhi, non avevo il coraggio di guardarla, non dopo che i suoi mi avevano tormentato giorno e notte per due settimane. Respirai profondamente guidandola finché non sentii il suo respiro ristabilizzarsi. Mi sentii sollevato e, quando li  aprii , lessi la confusione nei suoi. Era spaesata, sconvolta da quello che era appena successo, come lo ero anche io. Non so cosa fosse appena accaduto, ma so che non era da noi, che non avrebbe portato a niente di buono, che non sarebbe dovuto succedere e che, ora, avrebbe torturato le nostre menti come quella sera. Mi sentivo appesantito ad ogni respiro che emettevamo, il mio corpo stava sviluppando  cose che la mia testa non voleva metabolizzare. Prima che potessi anche solo aprire bocca si alzò e si allontanò alla velocità della luce, lasciandomi intontito e spaesato. Non potevo aspettarmi  reagisse diversamente, ed onestamente era la cosa migliore.  Sapevamo entrambi che ciò che era appena successo non doveva farlo. Era stato un momento di circostanza legato ad una coincidenza, o almeno, era quello di cui volevo convincermi per togliermelo dalla testa. Mi stava facendo perdere ogni senso della realtà e io glielo stavo permettendo, anzi, mi stavo quasi trascinando giù con lei.


"Ma dentro agli occhi aveva
La notte, come la luna
E dentro agli occhi aveva
Le botte, come la luna
Aveva il freddo dentro
Il freddo che ti ghiaccia le mani
E non credeva più all'amore
E non voleva un angelo custode"




































cascare nei tuoi occhi - Charles LeclercWhere stories live. Discover now