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Jackie

Mi sono addormentata come un'allocca ieri sera.

Non credo che il mio aspetto sia dei migliori, ho ancora addosso il vestito di ieri e neanche mi sono tolta le scarpe dai piedi. Probabilmente il trucco è sbavato e i capelli saranno una matassa scomposta ormai. Mi volto, prendendo il telefono dal comodino per poi controllare l'orario: le nove e mezza. Inspiro, alzandomi dal letto per poi dirigermi verso la valigia e tirare fuori uno dei miei cambi: ho urgentemente bisogno di una doccia. Dopo essermi spogliata entro nel box, insaponandomi il corpo con un bagnoschiuma al talco – probabilmente di Beltran. Mi occupo anche dei capelli e dopo mi sciacquo altre due volte. Nei minuti seguenti mi asciugo i capelli con il phon – preso dalla valigia – e tento di rendermi presentabile con un filo di trucco in viso e il mascara. Quando scendo al piano di sotto sono fresca e pettinata, con addosso una tuta beige coordinata. Entro in cucina, notando subito un bigliettino sulla penisola di marmo. Lo prendo in mano, leggendolo a voce alta con una punta di delusione: «Sono andato a correre, non attendermi – Beltran». Speravo di fare colazione insieme ma fa niente, presumo che lascerò qualcosa anche per lui. Apro il frigo, convinta di trovarci dentro qualcosa ma poi rimango spiacevolmente colpita quando mi accorgo che all'interno non c'è nulla.

Schiudo la bocca, guardando anche negli altri scaffali.

Di sicuro non posso cucinare un bel niente, non c'è neanche una mela marcia all'interno di questo frigorifero. Sbuffo, richiudendo l'anta per poi riflettere sul da farsi. Non conosco la città, non ho un'auto e, al momento, neanche Beltran ce l'ha, visto che deve ritirala al porto nel fine settimana. Tamburello le dita sul marmo per poi andare al piano di sopra per mettermi le scarpe e uscire. Tramite telefono mi aiuto con la mappa, scoprendo che nelle vicinanze ci sono dei piccoli mini-market oltre che una stazione. Ora che ci penso, non posso neanche uscire di casa perché non ho il doppione delle chiavi. Spero almeno che questi mini-market facciano spesa a domicilio, altrimenti sono fregata. Chiamo il numero di uno store, aspettando qualche minuto per poi sentire la voce di una donna. Per fortuna fanno consegne, quindi elenco tutto quello di cui ho bisogno e poi gli do l'indirizzo. Saranno qui tra una ventina di minuti, quindi intanto gironzolo per la casa. Non ho avuto modo di vedere la camera di Beltran, mi chiedo se gli darebbe fastidio che io entrassi di soppiatto. Giro la maniglia, sporgendo il capo per poi guardarmi intorno incuriosita. La camera è leggermente più grande della mia, anche essa con la mansarda alta. Al contrario della mia camera da letto, questa ha una parete color amaranto in tono con le lenzuola del letto king-size. Alla mia sinistra c'è un armadio a due ante con tanto di specchio, mentre ai lati del materasso ci sono due piccoli comodini, in uno c'è una abat-jour. Compio un passo in avanti, poi un altro mi accorgo che ha avuto il tempo di disfare la valigia ieri sera, dato che la trovo aperta di fronte alla finestra. Non resto molto in camera sua, non lo trovo corretto e infatti esco dopo pochi minuti.

Scendo le scale, osservando alcuni quadri appesi al muro dell'ingresso e mi chiedo se li abbia scelti lui. Nel primo è raffigurato un mulino, perciò è un paesaggio agreste. Nel secondo c'è un campo di tulipani e il sole si staglia in cielo, invece nel terzo ci sono dei contadini che lavorano il terreno con degli arnesi. Intanto che aspetto l'arrivo della spesa, decido di andare in camera mia per prendere il telefono e chiamare mia madre. Mi risponde quasi subito, ma di questo non avevo dubbi. «Si può sapere perché non mi hai chiamata prima? Pensavo ti fosse successo qualcosa Jackie!» esclama, iniziando subito a urlarmi contro senza darmi possibilità di aprire bocca. «Mi farai morire di infarto uno di questi giorni, me lo sento» borbotta, continuando. «Scusami, è che ieri sera mi sono addormentata subito – non mi sono neanche cambiata per quanto ero esausta.» Sospira, chiedendomi com'è andato il viaggio. Le racconto delle turbolenze e della mia nuova fobia, infatti sembra sorpresa tanto quanto me. «Com'è l'hotel?» domanda, non sapendo che convivo con un assassino. «Bello, molto rustico» mento, passandomi una mano in fronte. Dovrebbero darmi il premio per la figlia peggiore dell'anno. Sento il campanello suonare, quindi tappo il microfono del telefono e poi tossisco. «Devo andare ora, è arrivato il servizio in camera» mi mordo il labbro inferiore. Ci salutiamo per telefono e in seguito lancio il telefono sul letto, prendendo il portafoglio dal comodino per poi scendere al piano di sotto. Saluto il ragazzo delle consegne a domicilio, chiedendogli il conto per poi porgergli i soldi e prendere le tre buste che mi ha portato.

«Grazie mille e arrivederci.» Si tocca il cappellino verde abbinato con la polo e dopo scende gli scalini, correndo verso una piccola Honda nera per non fare ritardo a lavoro. Richiudo il portone alle mie spalle, tirando le buste in cucina per mettermi subito ai fornelli. Dopo alcuni minuti, sulla penisola sono già disposti i primi piatti: frutta fresca e lavata, pancake con affianco crema bianca e alle nocciole e infine ho preparato anche delle uova strapazzate. Finisco di mescolare, spegnendo il gas per poi voltarmi e poggiare il contenuto nel piatto ‒ solo che per poco non faccio cascare tutto a terra quando mi accorgo di Beltran sotto l'arco della cucina. È sudato, con i capelli sparati in aria e gli occhi ghiaccio luminosi... avrei preferito svegliarmi così stamattina, con questa visione. «Ehi, non ti ho sentito arrivare» prendo fiato, gettandogli occhiatine mentre cucino. Resta appoggiato con la spalla destra all'arco, a braccia incrociate e mi studia in silenzio con espressione imperscrutabile. «Ho ordinato la spesa e ho preparato la colazione; non conoscendo i tuoi gusti ho cucinato sia dei piatti dolci che salati» straparlo mentre lui mi zittisce con una delle sue domande improvvise. «Cosa ti ha fatto cambiare idea?» chiede, guardandomi con serietà. Credevo di essermi già spiegata in aeroporto ma a quanto pare non è bastato. Sospiro, lasciando la padella sulla penisola per poi stringere il marmo tra le dita. «Sentivo l'urgenza di staccare la spina, mettere in pausa la mia vita e fare chiarezza dentro di me» spiego sperando che la mia risposta gli basti stavolta. Schiocca le labbra, deviando lo sguardo altrove mentre io mi sento quasi sotto esame.

Mi sono presa questi quindici giorni di ferie anticipate solo per capire come muovermi, per tentare di dare delle risposte alle mie domande. Dentro di me, spero che questo sentimento nei suoi confronti sia solo passeggero, ma so che non è affatto così. «Dunque ti stai facendo una vacanza» scuote il capo, usando un tono irritato.

Non capisce mai niente.

«Non è così, lo sai» mi mordo il labbro inferiore.

«No non lo so, giri sempre intorno alla questione.»

Non mi aspettavo così il nostro primo giorno di convivenza, stiamo già litigando e siamo a Chicago da poche ore.

«Non ho voglia di discutere» alzo una mano.

Assottiglia gli occhi, inclinando il viso di lato con fare interessato. «Emilton cosa ne pensa della tua scappatella?» gli scappa un risolino derisorio che mi fa innervosire.

«Ho chiuso con lui, se vuoi saperlo.»

«E come mai?» ora si finge interessato, davvero ridicolo. Non mi piace parlare dei miei fatti privati, anche in questo caso mi sento messa alle strette.

«Ho preferito così, in questo modo nessuno si sarebbe fatto male» preciso, dandogli le spalle per poi lasciare la padella vuota dentro il lavandino. Gli chiedo se adesso possiamo mangiare e lui si stacca lentamente dal muro, sembrando pensieroso oltre che compiaciuto. Sta per uscire dalla cucina, quando finalmente mi dà una risposta alla mia prima domanda. «Preferisco la colazione dolce al mattino, se vuoi saperlo» mi imita, lanciandomi un'occhiatina sarcastica che mi fa uscire di testa.

Iniziamo alla grande.

Il Male In TeWhere stories live. Discover now