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Jackie

Novembre è ormai arrivato.

Ho ripreso a lavorare al penitenziario e, come al solito, svolgo le normali sedute di tutti i giorni. La sicurezza non è mai troppa, diversi agenti mi coprono le spalle restando fuori dalla porta mentre chiacchiero con i prigionieri. Hernandez è il mio ospite del giorno, mi ha raccontato di come ha passato la domenica con la sua famiglia e un sorriso spunta sulle sue labbra quando nomina le sue piccole. «Mi fa piacere sapere che ti sei divertito» annuisco, giocherellando con la penna sulla scrivania. «Rivedere Alma e Luna senza una sbarra in mezzo o divisorio è stato completamente diverso» afferma. «Mi sembrava di riuscire a respirare di nuovo» aggiunge, mentre io mi trovo d'accordo con le sue parole.

«Questo posto limita, in tutto e per tutto» sostengo. «Adesso abbiamo finito la seduta, ma spero che la prossima volta mi darai le tue considerazioni sul libro che stai leggendo e che ti ho prestato» sorrido. Si alza dalla poltrona e io richiamo Nito per fare in modo che lo scorti alla sua cella. Minuti dopo, poiché ormai è sera e il mio turno è terminato, decido raccogliere le mie cose e il portatile per poi metterlo dentro la tracolla. Richiudo la porta dietro di me, dirigendomi verso le scale che conducono all'uscita. Saluto Megan dietro il bancone, per poi uscire dall'edificio. Le luci dei lampioni mi accompagnano durante il tragitto verso la macchina. Sento solamente il rumore dei miei tacchi in sottofondo.

A un tratto però, torno a percepire come il solito disagio. Da quando ho cambiato serratura al portone del mio appartamento mi sento come osservata, presa di mira. Mio fratello ha fatto un ottimo lavoro ma sento comunque di non essere al sicuro. Tiro fuori le chiavi dalla borsa, girandomi sul marciapiede. Non vedo nessuno, perciò tiro un sospiro di sollievo e salgo in auto. Ho avuto gli incubi ieri sera, non riuscivo a chiudere occhio e, se lo facevo per breve tempo, finiva sempre con me in un bagno di sudore. Guido verso il mio appartamento, supero i semafori di Jacksonville e poi giro nel vialetto giusto. Lascio l'auto in uno dei parcheggi disponibili, tirando poi il freno a mano. Pochi minuti dopo sono dentro l'ascensore del mio palazzo, conto i piani che mi separano dal mio appartamento fin quando le porte non si aprono e io esco. D'improvviso mi si gela il sangue nelle vene, mi trema la mano mentre butto un'occhiata al portone aperto.

Non può essere vero.

Deglutisco, compiendo un altro passo avanti.

Qualcuno è entrato nel mio appartamento, ma al contrario di quanto pensassi, il soggiorno non è sottosopra o in disordine. Non c'è alcuna traccia di caos in giro, quindi assottiglio gli occhi perplessa. Un altro passo avanti e, finalmente, alla mia sinistra scorgo una figura imponente e voltata di spalle, impegnata a guardare la grande vetrata della finestra.

«No...» tentenno, incredula.

Questo è solo un brutto scherzo, non è reale.

Ancora non si volta, tuttavia noto di profilo un ghigno spuntare sulle sue labbra. I capelli marroni dai toni ramati, gli occhi ghiaccio divertiti dalla mia reazione.

Sapevo che mi avrebbe trovata.

«Tu non dovresti essere qui» indietreggio spaventata.

Mi guarda di sbieco, con sufficienza e poi scuote il capo. «Dolcezza, io vado ovunque voglia» decanta, scolandosi un bicchiere preso dalla mia credenza e pieno del Bourbon che tengo da parte. Beltran indossa una maglietta bianca, una giacca di pelle scura e dei jeans azzurri sdruciti. Ai piedi calza degli stivaletti di camoscio. Uno strano calore corporeo mi porta a distogliere lo sguardo dal suo. «Sei stato tu a scassinare il portone?» domando. Alza un sopracciglio, ma il sorrisetto che ha sulle labbra mi fa presupporre che sia così. «Non ci posso credere, non dovresti neanche essere qui dopo quello che hai fatto: hai ucciso Nolan, te ne rendi conto?» alzo il tono. Scuoto il capo, passandomi una mano tra i capelli lisci mentre lui rimane felicemente impassibile. «Non provi neanche un briciolo di dispiacere?» sbotto.

Mi guarda con occhi assottigliati. «No, perché dovrei?»

«Hai ucciso una persona innocente, Beltran» sbotto.

«Non sono stato io, ma Brett» sbuffa.

«E tu glielo hai impedito vero?» chiedo, scuotendo il capo con una smorfia. «Non fare il finto tonto, a te non dispiace uccidere e sei più che d'accordo con i pensieri del tuo alter-ego» incrocio le braccia al petto. Beltran curva le labbra in un sorrisetto infimo, ma presto abbandona il bicchiere vuoto sul davanzale della finestra più piccola e mi raggiunge.

Si ferma a un soffio dal mio viso, infila le mani dentro le tasche dei jeans e inclina il capo. «Dimmi, cosa ti fa più rabbia? Il fatto che io abbia ucciso quell'inutile agente o il fatto che io me ne sia andato d'improvviso?» chiede.

Scuoto il capo, contrariata ma colta nel fatto.

Perché riesce a leggermi così facilmente nonostante io faccia di tutto pur di non mostrarmi debole nei suoi confronti? Beltran inclina il viso di lato, sfiorandomi la mascella con il naso. Inspiro il suo profumo mascolino, mentre lui socchiude gli occhi e si morde il labbro inferiore guardandomi la bocca.

«Smettila, non mi conosci Beltran» stringo i pugni.

«Ne sei sicura?» Il suo tono diventa suadente, costringendomi a serrare le gambe sotto i suoi occhi violenti e affamati. D'improvviso, la sua mano mi agguanta la schiena e io finisco contro il suo petto. I nostri nasi si sfiorano ma io tento di deviare il suo sguardo perché non riesco a reggerlo. «Puoi tentare di ingannare te stessa, ma con me non funziona» afferma mentre io poggio una mano sul suo petto e tento di ristabilire un po' di distanza. «Ho già preso una decisione, ho scelto me stessa e la mia famiglia. Quello che tu mi chiedi, è impossibile: non ho intenzione di rinunciare al mio orgoglio, a ciò in cui credo per te» lo avviso, alzando il mento. I suoi occhi brillano compiaciuti, la sua mano destra risale lungo la mia schiena per poi posarsi sul mio collo, infine sulla guancia in un gesto apparentemente docile, caldo. Perdo un battito quando inclina il viso. Penso mi stia per baciare, ma in realtà si scosta con una smorfia lasciandomi appesa al nulla.

Si dirige verso il portone, guardandosi intorno per il mio appartamento con curiosità. «Hai un bell'appartamento» indica il circondato. Lo guardo con fastidio, mentre lui sogghigna e gira la maniglia del portone. «Dovresti stare attenta a chi inviti dentro» suggerisce, lanciandomi una breve occhiata. «C'è gente strana in giro, di questi tempi.» Certo, come se non intendesse sé stesso in questo instante. Lo guardo malissimo, mentre lui sorride compiaciuto guardandomi dall'alto al basso in quel suo modo vergognoso.

«A presto Jackie» saluta, con tono calante e suadente.

Richiude il portone, ma io lo fisso negli occhi finché non scompare dalla mia vista. Mi passo una mano in viso, sentendomi una vera idiota: gli sto permettendo di avere la meglio su di me, ancora una volta. Tutto questo è sbagliato, lui è sbagliato e io lo sono ancora di più perché gli permetto di avere tutto questo potere su di me. Pensavo che fosse partito, che fosse andato via per evitare la polizia ma invece è ancora a Jacksonville. E non è rimasto qui per farsi catturare di nuovo dagli agenti, neanche per attirare l'attenzione della sua prossima vittima.

È rimasto per me.



Angolo Autrice:

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Il Male In TeWhere stories live. Discover now