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Jackie

La sveglia suona incessantemente da dieci minuti ormai. Alzo una mano, spiaccicandola sullo schermo del telefono per poi sbadigliare ancora morta di sonno. Non so neanche per quanto ho riposato, so solo che ieri sera non ho cenato e che ho lo stomaco vuoto. Apro gli occhi, alzando il capo verso il dipinto sopra la testata del letto per poi alzarmi a metà busto. D'accordo, se riesco a fare tutto in tempo magari posso fare anche colazione a casa. Mi alzo, vado in bagno come tutte le mattine e poi mi do un'occhiata allo specchio. I miei capelli biondi sono una matassa scomposta, perciò apro il cassetto in basso al lavandino e tiro fuori la piastra per lisciarli. Aspetto che si riscaldi e intanto mi passo una crema idratante ma coprente sul viso. Applico il mascara e poi uso uno dei miei rossetti rosa chiaro. Mi stiro i capelli, ma ci metto più del previsto poiché devo anche pettinarli. Appena torno in camera, giro a destra ed entro nella mia cabina armadio. Devo anche ritornare il vestito di ieri a mia madre, magari pomeriggio glielo riporto. Sposto le varie grucce, prendendo una gonna a tubino nera e una camicetta bianca. Ai piedi infilo dei sandali alti dal tacco quadrato senza cinturino, sperando non mi facciano troppo male. Tecnicamente, non potrei guidare con questi ai piedi infatti dentro la mia auto ho un paio di ciabatte rialzate che infilo a porte chiuse. Appena arrivo al penitenziario, mi ricordo che oggi pomeriggio dovrebbero esserci gli incontri dei detenuti con i loro familiari.

Magari le sedute le svolgerò stamattina.

Saluto Simonette al bancone, ringraziando il cielo appena vedo una nuova scatola di ciambelle sopra la superficie. «Per fortuna, altrimenti non avrei fatto colazione e ho lo stomaco vuoto da ieri sera» racconto. Simonette si abbassa gli occhiali sul naso, schiarendosi il tono. «Notte brava?» chiede a bassa voce mentre io scuoto il capo. «No, affatto.» Alza gli occhi al cielo, poi mi chiede di mia sorella e io prendo un profondo respiro: «Era con un ragazzo, ci ho persino litigato» sbuffo, prendendo una ciambella alla crema bianca.

«Con tua sorella o il ragazzo?» corruga la fronte.

«Con mia sorella, ma in realtà ho urlato addosso anche a lui» ricordo. Si mostra stupita, ma non avendo molto tempo per chiacchierare le dico che poi le racconterò il resto. La saluto, andandomene diretta verso il mio ufficio. Verso le undici qualcuno bussa alla mia porta ed è Nolan.

«Ehi, cercavo proprio te» sorrido.

Si liscia la camicia nera. «Davvero?» alza un sopracciglio. Annuisco, menzionandogli le sedute che avevo in mente di fare. «Vorrei prima scambiare quattro chiacchiere con Hernandez e in seguito, dopo mezz'ora, ci sarà Costa e per ultimo Moore» elenco.

«Vado a prendere Hernandez allora» annuisce, mentre io lo ringrazio e poi tiro fuori dalla mia tracolla i moduli da compilare. Dopo pochi minuti, congiungo le mani sopra il portatile chiuso e attendo l'arrivo del detenuto; quest'ultimo non mi sembra un tipo aggressivo, sembra piuttosto calmo e maturo – anche se non so il motivo della sua prigionia. Non posso accedere agli archivi, purtroppo.

Bussano alla porta, quindi invito Nolan o chiunque sia ad entrare. Il volto dell'agente mi appare davanti, sospinge dalla spalla l'uomo dalla pelle scura con il tatuaggio di una fiamma sotto l'occhio sinistro e io lo ringrazio. «Puoi lasciarci soli per questa mezz'ora Nolan?» chiedo educatamente.

«Sei sicura?» domanda.

«Assolutamente.» Lancia occhiatacce a Hernandez, in seguito chiude la porta e ci lascia soli. «Prego, si accomodi» lo invito. Mi ascolta in silenzio, sedendosi in modo pigro. «Non so ancora il tuo nome» esordisco. Hernandez alza gli occhi scuri nei miei, guardandosi intorno per l'ufficio. «Enrique» pronuncia a tono basso, deve essere messicano o latino. Annuisco, schiarendomi il tono. Gli domando quanti anni abbia e mi dice di averne quarantadue. «Oggi ci saranno gli incontri, non hai voglia di vedere qualcuno?» domando curiosa.

«La mia famiglia» abbassa lo sguardo.

«Sei padre?» chiedo e lui annuisce.

Ci metto un bel po' per farlo sciogliere, alla fine riesce a raccontarmi di sé senza che io gli faccia molte domande. Scopro che ha due femminucce di otto anni, due gemelle e che si è perso molti dei loro compleanni per via della sua prigionia. Sento un magone al petto, capita spesso che mi emozioni ad alcuni racconti – anche se non lo faccio vedere. «Hai un hobby o una passione?» domando curiosa.

«Mi piacciono i motori, amo sporcarmi le mani per rendere un rottame un gioiellino» afferma con un ghigno. Potrei farci un pensierino, ma ancora è presto e poi dovrei parlarne con il direttore.

Al termine della seduta gli porgo un modulo e una penna, in modo che possa passarsi il tempo chiuso in cella. «Sono tre pagine con delle domande personali, rispondi e poi alla prossima seduta potremmo lavorarci su.» Gli stringo la mano, nonostante le abbia ammanettate entrambe sul davanti. Il resto della giornata lo passo con gli altri due detenuti, Costa è un tipo che non mi prende sul serio e infatti risponde alle domande soltanto scherzando. Moore sembra totalmente menefreghista, ma almeno a qualche domanda riesce a rispondermi – anche se annoiato. Sospiro, ringraziando Nolan quando porta via pure l'ultimo. Poco prima di pranzo, sento bussare alla mia porta. Simonette appare sull'uscio e io le chiedo cosa succede. «Il direttore vorrebbe parlarti nel suo ufficio.» Annuisco, notando il suo sguardo preoccupato quando faccio il giro della scrivania. «Pregherò per te» sussurra. La guardo confusa, dirigendomi al piano inferiore. Mi incammino nel corridoio semi-buio, bussando alla prima porta per poi sentire un "avanti". Il direttore tamburella le dita sul braccio della sedia, mi fa segno di accomodarmi e io richiudo la porta alle mie spalle. Al contrario della prima volta che l'ho conosciuto, stavolta non sorride affatto. «Voleva parlarmi?» domando, mentre mi punta addosso le sue iridi verde bosco piuttosto inquietanti.

«Sì, tramite voci di corridoio ho saputo che stamattina ha tenuto le sue prime sedute – senza neanche consultarmi.» Il tono si abbassa all'ultimo, come se mi stesse accusando. «Sa che devo essere informato di ogni decisione presa all'interno del penitenziario vero? Credevo le fosse chiaro questo concetto» specifica.

«Mi scusi, non credevo di doverla informare anche del mio operato. Nessuno, in precedenza, mi ha mai chiesto il permesso di poter fare il mio lavoro.» Stiamo scherzando? Non credo di aver mai sentito nulla di più sconvolgente. Non mi sembra che io mi metta a dirgli cosa può fare o no. «Gli altri direttori con cui ha lavorato non sono me.»

Assottiglio gli occhi, frustrata più che mai.

«Non mi piace il tono che usa» perdo la calma.

«Non le deve piacere, infatti. Sono il direttore di questo penitenziario, ciò che accade in questo edificio è sotto mia responsabilità. Prima di far qualcosa, mi avvisi sempre: lei, come tutti gli altri dipendenti, è sotto la mia protezione» si indica. «Vuole fare le sedute, le faccia ma la prossima volta mi informi prima fare il passo più lungo della gamba.» Mi mordo la lingua, alzandomi dalla poltrona per poi dirigermi verso l'uscita.

Al diavolo.

Appena richiudo la porta alle mie spalle, scorgo Boone dall'altro lato del muro con le gambe e le braccia incrociate. Riesco a notare il suo compiacimento anche al buio. «Sei venuto a goderti lo spettacolo?» domando.

«Il mondo non gira intorno a te, Hole.»

Alzo gli occhi al cielo, ignorandolo per poi incamminarmi verso la postazione di Simonette. Non mi piace quel tipo e non mi piace neanche il repentino cambiamento del direttore. Mi domando come mai fosse proprio fuori dalla porta Boone, ho alcuni dubbi in testa ma tento di non interessarmi più di tanto. Salgo le scale, dirigendomi in ufficio con l'intenzione di prendere la tracolla e andare a pranzare. 

Il Male In TeHikayelerin yaşadığı yer. Şimdi keşfedin