8

2K 68 3
                                    

Jackie

«Non ho intenzione di parlarle, Glenn.»

Mio fratello mi ripete per telefono che dovrei dimostrare a mia sorella la maturità di cui dispongo, ma al momento non ho intenzione di rivolgerle parola. Crede che io mi sia scordata il modo in cui Sierra mi ha denigrata? Non sono una che dimentica e perdona così facilmente. Richiudo lo sportello della mia auto, premendo il pulsante del citofono. Aspetto che Simonette mi apra il cancello e, per fortuna, non attendo molto. «Senti, per piacere possiamo parlarne più tardi? Sono appena arrivata al penitenziario e ho delle sedute da eseguire» sbuffo. Mio fratello minore mi ripete che non posso usare il lavoro come scusa, tuttavia decide di chiudere la telefonata perché deve andare in falegnameria. Lo saluto, riponendo il cellulare in tasca per poi salire i gradini. Simonette mi appare davanti al portone con un sorriso smagliante sulle labbra, indossa una camicetta nera e una gonna in tono.

«Buongiorno, le ciambelle sono già sul bancone» dice.

Ne prendo una al caramello e al cacao, per poi accettare il fazzoletto che mi porge. «Come mai sei di così buon umore?» domando sincera.

«Presto andrò in ferie, andrò a trovare mio figlio» dice.

Le auguro buona fortuna e lei mi ringrazia, tornando dietro il bancone. «Mi sostituirà quella sciocca ragazza di Chicago, non preoccuparti» gesticola con la mano. Faccio il pollice in su, dirigendomi poi verso le scale sotto i suoi sorrisi felici.

Il resto della mattina lo passo in ufficio, con tre nuovi detenuti e per fortuna mi sembrano tutti collaborativi e accettano anche il modulo che gli porgo. Verso l'ora di pranzo vado alla tavola calda con Simonette e gli altri agenti, ordino due tacos e un bicchiere di Coca-Cola ghiacciato. Gli agenti si confidano con noi, raccontandoci alcuni episodi del loro passato, di quando andavano al liceo. «Sei stata reginetta?» domando a Rachel e lei annuisce fiera. Nito alza gli occhi al cielo, dicendo che in realtà ha truccato i voti mentre lei lo trucida con lo sguardo. Nolan sposta gli occhi su di me, ammiccando con il mento. «Tu che ci dici, Hole?» chiede. «Non saprei, cosa volete che vi racconti?» mi imbarazzo. «Fatti scabrosi, ci interessano quelli cara» dice Simonette. Alzo gli occhi al cielo, evitando palesemente di raccontare loro di Jesse. «Ero una vera mina vagante al liceo, facevo le scelte peggiori. Una volta dissi alla mia insegnante di aver visto suo marito con un'altra, avevo detto una bugia ma in realtà scoprì che alla fine lui le metteva davvero le corna» mi mordo il labbro inferiore mentre gli altri schiudono la bocca. «Non so come, ma tutti iniziarono a pensare che l'amante fossi io» mi indico. Rachel scoppia a ridere mentre io vorrei sotterrarmi. «Tu sì che riservi colpi di scena» mi indica quest'ultima. Ridacchiano tutti, ma ancora non hanno sentito neanche il peggio del mio passato. Quando ritorniamo al penitenziario mi dirigo in ufficio per lasciare la tracolla sulla scrivania, estraggo dalla tasca la chiave della cella blindata e poi me la rigiro tra le dita.

Ora o mai più.

Esco, dirigendomi verso gli uffici degli agenti.

Busso alla porta, richiamando Nolan e Nito.

«Ehi, potreste scortarmi verso i sotterranei?» chiedo.

«Sì, devi fare altre sedute?» domanda Nolan, seduto alla sua scrivania con dei plichi. Scuoto il capo, spostando il peso da una gamba all'altra prima di dirgli la verità. «Vorrei parlare con l'uomo chiuso dentro la cella di isolamento» spiego, vedendolo sgranare gli occhi.

Nito, di fianco a lui scuote il capo. «Tu sei pazza.»

«Sentite, so che è pericoloso ma devo comunque fare il mio lavoro» mi indico. «Vi prego, ho dovuto faticare per ottenere questa chiave e ora che ce l'ho mi dite che non posso usarla?» mi mordo il labbro, tentando di corromperli. Nolan si alza dalla scrivania, dicendomi che l'uomo dietro la cella non è solo pericoloso ma poco lucido. «Qua si ha a che fare con un soggetto degno di manicomio» mi avvisa, facendo il giro. «Sei sicura di essere pronta a incontrarlo?» domanda, arrivandomi a un soffio dal viso. Annuisco, sentendo il cuore in gola. Mi domando quanto stia davvero rischiando, è il mio lavoro ma non voglio ritrovarmi morta stecchita a causa di quell'uomo. Sostengo lo sguardo dell'agente biondiccio, notandolo particolarmente severo. «Molto bene, ti faccio strada» nonostante acconsenta alla mia richiesta, Nolan sembra nervoso e tremendamente serio. Nito borbotta qualcosa sotto voce, ma si alza e mi accompagna anche lui. Il tragitto verso le celle è silenzioso, accompagnato solamente dal tintinnio delle chiavi nel mazzo di Nito. Saluto alcuni detenuti dietro le sbarre che mi richiamano. «Ciao zuccherino» mi saluta uno di loro.

Nito gli dice di piantarla, mentre Nolan mi è di fronte. Arriviamo davanti alla porta blindata, Nolan mi getta una breve occhiata mentre io mi torturo il tessuto dell'abito che indosso. Stamattina ho deciso di osare di più, infilandomi un vestito nero lungo fino ai polpacci con una manica sola. Il mio corpo è perfettamente risaltato grazie al tessuto modellante, ai piedi indosso dei tacchi a spillo in tono e mi sento elegante. I capelli li ho arricciati, ciocca per ciocca e ricadono perfettamente dietro la mia schiena. Mi domando cosa penserà di me l'uomo dietro questa cella appena mi vedrà, spero di non scatenare strane reazioni in lui. Deglutisco mettendo la chiave nella serratura appena Nito toglie la sbarra di legno. Scatta la serratura, strabuzzo gli occhi e poi tiro piano la porta aspettandomi un agguato o qualcosa del genere.

Tuttavia ciò non accade.

Sporgo il capo, vedendo un uomo seduto su una sedia di legno al centro della stanza. Indossa una tuta bianca, ma non gli vedo il volto perché ha una specie di maschera metallica che gli ricopre tutto il viso, tranne il taglio degli occhi. Ha il capo leggermente abbassato, quindi non vedo le sue iridi. Mi domando perché gli abbiano messo una maschera del genere, è da folli. «Potreste dirmi il suo nome?» domando a Nolan e Nito, guardando solo l'uomo.

«Beltran Buscema» mi informa Nolan.

Mi ripeto il suo nome sulla lingua, compiendo un passo in sua direzione con riluttanza. «Salve Beltran, sono la nuova psicologa del penitenziario» lo avviso, avvicinandomi di un altro passo. Non si muove neanche di un millimetro, ciò mi inquieta e attira allo stesso tempo.

«Mi chiamo Jackie Hole» mi presento, intimidita.

Mi chino sulle ginocchia, osservandolo da più vicino mentre Nito mi ripete di allontanarmi. Alzo una mano, piuttosto seccata dalla maschera che indossa. Voglio vedergli il volto, capire chi ho davanti e studiarlo meglio. «Temo che la camicia di forza sia già una punizione orribile, quindi adesso leverò la maschera» soffio, sempre più incuriosita. Mi lecco il labbro inferiore, sentendo le mie braccia sudare per l'agitazione. Sgancio la maschera dietro il suo capo, levandogliela lentamente finché non mi appare il suo viso davanti. I capelli dell'uomo sono castani ma tendenti al rame, ha la pelle olivastra e sembra che qualcuno gli abbia rasato la barba da poco, ha ancora dei tagli leggeri sotto la mandibola ferrea. Sbatto le palpebre, studiandolo finché non alza lentamente il viso. Boccheggio, perdendo un battito alla vista di due occhi azzurri mozzafiato. Signore perdonami, ma credo di aver appena posato lo sguardo su uno degli uomini più belli di questo pianeta.

Belli e impossibili.

Beltran inclina il viso da un lato e poi dall'altro, scricchiolandosi il collo. Mi punta addosso i suoi occhi, senza darmi modo di vedere alcuna sua emozione.

«So chi è, si è già presentata» esordisce con voce rauca. Si riferisce a ieri, quando ho bussato alla sua porta presa da un attimo di agitazione. Arrossisco, compiendo un passo indietro. «Non credevo mi avesse sentita...» soffio. «Sento tutto, Signorina Hole.» Il suo tono profondo mi fa intuire che dica la verità. Ciò che mi preoccupa però non è la sua voce, ma il calore che sento al petto a causa sua.

Il Male In TeWhere stories live. Discover now