CAPITOLO 15 - ZELAYA ASANE

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Come sempre anche quella mattina di fine ottobre Zelaya si alzò di buon'ora per recarsi al mercato. Doveva acquistare i fagioli a buon prezzo per fare le sue frittelle Akara da vendere per strada e poiché il prezzo poteva variare in base all'ora di acquisto allora doveva fare presto. Questa era la sua occupazione attualmente, anche se era in continua ricerca di lavoro, come domestica od operaia, ora era questa la sua ambizione, ma la cosa si era sempre rivelata molto più difficile di quanto pensasse.

Viveva con il fratello Amir di 4 anni più giovane in una baracca alla periferia est di Kampala, capitale dell'Uganda. Lui si dedicava alla rivendita di materiale da costruzione per realizzare altre baracche, reperendolo nella vecchia baraccopoli che fu rasa al suolo dalle ruspe governative tempo addietro, un goffo tentativo di nascondere la povertà, come se per rimediare al disagio di migliaia di persone bastasse una ruspa a nascondere tutto. 

I due fratelli facevano parte della diaspora ruandese, erano Tutsi fuggiti nel 1994 per scampare al genocidio. All'epoca dell'esodo Zelaya aveva solo 10 anni e insieme ai genitori e al fratello minore camminarono per mesi prima di arrivare a Kampala. Dopo solo 4 anni dal loro arrivo, i suoi genitori morirono a causa dell'epidemia di Ebola e lei si ritrovò a dover crescere sé stessa e il fratello minore senza il supporto di nessuno. Il suo sogno era quello di diventare un'infermiera, ma gli eventi nefasti della sua vita la portarono inevitabilmente a cambiare i suoi piani. Si dovette improvvisare in qualsiasi lavoro le venisse offerto, faticando non poco per evitare di cadere nelle mani di criminali che volevano avviarla alla professione della prostituzione data la sua avvenenza.

La vita in Uganda, e come in tutto il continente africano del resto, non era affatto facile, ed essere inoltre una profuga ruandese non l'aveva aiutata. Conosceva la storia del suo Paese d'origine abbastanza per evitare di tornarci, anche se spesso lo desiderava. Il suo piccolo Ruanda, definito il Tibet d'Africa a causa del suo territorio totalmente montuoso, ebbe la fortuna di essere escluso dalla tratta degli schiavi che durò circa quattrocento anni e terminò in Nigeria solo nel 1936. Il fatto di essere minuscolo e lontano dalle coste lo preservò da questa sciagura che coinvolse, si stima, dai 15 ai 30 milioni di africani deportati. Il Ruanda però venne incluso nella spartizione dell'Africa avvenuta con la Conferenza di Berlino del 1884 a cui parteciparono Gran Bretagna, Francia, Germania, Portogallo, Paesi Bassi, Belgio, Spagna e Stati Uniti. Senza che nessuno lo sapesse, sovrano compreso, il Ruanda fu assegnato alla Germania. Dopo la prima guerra mondiale passò in mano belga, ma anche i belgi per lungo tempo non se ne curarono, proprio come i tedeschi. La popolazione ruandese, a differenza di altri Stati africani, era composta da una sola comunità, i banyaruanda, divisi in tre clan, i Tutsi possidenti di mandrie di bestiame e a capo del governo erano pari al quattordici percento della popolazione, gli Hutu agricoltori pari all'ottantacinque percento e i Twa, braccianti e servitori pari all'uno percento.

La vacca dava la misura di ogni cosa in Ruanda, prestigio, potere e ricchezza. Tra i Tutsi e gli Hutu vi era un rapporto di tipo feudale che durava da secoli. Purtroppo il Ruanda è uno Stato minuscolo e le mandrie dei Tutsi crescevano continuamente e necessitavano di spazi. Gli Hutu pertanto, non potendo spostarsi altrove, rimasero sempre più stipati in spazi ridotti perdendo le loro terre coltivate. Questa situazione esplosiva era destinata ad evolversi e dato che i belgi fino ad allora avevano appoggiato il governo dei Tutsi, questa volta, volendo evitare l'evolversi di manie indipendentiste che animavano da tempo i Tutsi, decisero di appoggiare gli Hutu che erano secondo loro più gestibili. Questo appoggio diede il via alla rivolta Hutu con conseguente spargimento di sangue. Vennero uccise migliaia di vacche e date alle fiamme le fattorie dei ricchi signori Tutsi, costretti a fuggire negli Stati confinanti. Questa situazione determinò un sentimento di vendetta che durò anni, fino a quando, negli anni novanta, i Tutsi si erano finalmente organizzati per poter tornare in patria e riprendersi quello che secondo loro gli era stato tolto. Nel frattempo, il Ruanda era passato nelle mani francesi, e come tale era diventato un Paese francofono e anche se nel 1962 ottenne l'indipendenza, la Francia continuò a considerarlo un Paese del suo entourage.

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