Need you now (Esther/Ethan)

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Esther

E' difficile.
E' difficile non pensare ed è difficile continuare a sorridere. Ma devo farlo. Per mamma e papà, per Judith, per me stessa. E' stato difficile convincere Sarah che sto bene, che mi sto sforzando di stare bene. Ma dovevo farlo. Per Ethan.
Gli ho detto delle cose orribili, quel giorno. Gli ho detto che lo odiavo, e non è vero. Ero arrabbiata con lui, delusa da lui... ma odiarlo... mai.
Una lacrima mi scivola lungo la guancia, come ogni volta in cui il pensiero si ferma su Ethan. La asciugo rapidamente, mentre salgo i gradini della veranda ed entro in casa.
«Mamma! Sono tornata!»
«Terry! Indovina cos'abbiamo fatto oggi io e la mamma?» Judith si lancia contro di me con il suo solito entusiasmo. E' davvero preziosa, mia sorella, non mi lascia un minuto per pensare alle cose tristi, e si accorge subito se sono giù di morale. Ha lo stesso sesto senso della mamma.
«Non lo so, cos'avete fatto?» le chiedo, sorridendole e tirandole una treccia in un gesto affettuoso. E' difficile cercare di mostrare serenità, e so che Judith si accorge dei miei tentennamenti. In quei momenti mi viene vicina e mi abbraccia, dimostrandomi semplicemente che mi vuole bene. Non sa tutto, ma sa che c'è qualcosa che mi fa stare male e cerca di fare il possibile per aiutarmi.
«Guarda!» mi mette in mano un quaderno a quadretti e lo sfoglia fino alla pagina che voleva mostrarmi.
E' un disegno. C'è una casa, che è chiaramente casa nostra, con tante persone davanti.
«Chi sono tutte queste persone, Judy?» le chiedo, poggiando il quaderno sul tavolo in modo che possa indicarmi tutti quanti.
«Questi due sono la mamma e il papà.» afferma indicando una coppia che si tiene per mano proprio al centro del disegno.
«E questi?» indico altre due figure alla destra delle precedenti. Judy arrossisce un po', sorride e mi risponde.
«Questi siamo io e Zack.»
Ho paura di domandare chi siano le altre tre persone disegnate perché ho paura di conoscere già la risposta.
«Gli altri siete tu, Ethan e un bambino vostro.»
Le sue parole innocenti hanno l'effetto di un pugno nello stomaco. E' una bambina, è solo una bambina, e questo dovrebbe essere solo un disegno, una sua fantasia. Ma fa male, troppo.
Le lacrime si affacciano ai miei occhi, e caccio indietro un singhiozzo.
«Terry, cos'hai?» chiede Judy, stringendosi a me.
«Judy, cos'hai detto a tua sorella?» il tono di rimprovero della mamma mi fa sentire in colpa con Judith.
«Mamma, no, non è colpa sua.» dico, asciugandomi rapidamente le lacrime e tornando a sorridere.
«Sì, è colpa mia, Terry. Non dovevo parlarti di Ethan. Lui ti rende triste!» mi stringe più forte, strofinando la testa sulla mia pancia. La allontano da me, posando le mani sulle sue spalle e chinandomi di fronte a lei.
«Non è colpa tua, Jude. Non è colpa tua.» Alzo la testa e sorrido a mia madre, facendo un cenno con la testa.
«Sarah e Seth verranno, stasera?» mi chiede lei. Ha capito che voglio cambiare argomento, e la cena di stasera è un ottimo diversivo.
«Ovviamente, non vedono l'ora di riabbracciare tutti quanti! Ti serve una mano in cucina?»
«No, tesoro, grazie. Vuoi provare a vedere se tuo padre ha bisogno di qualcosa? E' fuori a tagliare la legna per il falò».
«Vado subito» sorrido, rialzandomi e uscendo dalla porta sul retro.
Il mio rapporto con papà è migliorato. Stiamo cercando di muoverci con cautela, ho detto troppe cose che non possono essere dimenticate con facilità. Mi vuole bene, come e più di prima, sono io quella che si vergogna del suo comportamento. Sono io quella che cerca di procedere con cautela.
Quel giorno, quando è entrato nella stanza d'ospedale, mi ha abbracciata, e in quel momento ho sentito che tutto quello che ci eravamo detti, tutte le colpe che gli avevo attribuito perdevano di significato. Non avevano senso.
Avevo bisogno di mio padre e di mia madre, e loro c'erano. Erano lì per me, come se non fosse successo niente.
«Papà?»
«Ciao, tesoro!» mi saluta allegramente, dopo aver conficcato l'accetta nel ceppo che usa come appoggio, ma non appena il suo sguardo sfiora il mio viso, i suoi occhi si stringono e la mandibola si contrae.
«Cos'è successo?»
«Niente, papà. Tranquillo!»
«Mi auguro che non sia niente per davvero, altrimenti Seth passerà un brutto quarto d'ora, stasera.»
«Povero Seth! Non riesco a capire come sia cresciuto così equilibrato, con te e Jake che pensate sempre che qualsiasi cosa accada sia colpa sua!» la voce divertita di Leah ci sorprende. Presi com'eravamo a studiarci non ci eravamo neanche accorti del suo arrivo.
«Leah! Come stai? Tutto... tutto bene?» le chiedo, avvicinandomi per abbracciarla.
«Alla grande, Esther. Cosa che non si può dire di te, visti i tuoi occhi lucidi» ecco una cosa che adoro di Leah. Non si fa problemi a dirti le cose in faccia. Mi è stata davvero vicina in questo mese, come lo era stata anche prima che... sospiro, e cerco di non pensarci.
«Ti abbraccerei anche io, se non...»
«No, grazie, Sam. Magari dopo che ti sarai fatto una doccia potrei anche pensare di farmi salutare per bene, ma in questo momento mi farebbe schifo»
«Ma... - papà accenna una protesta, poi sorride - Hai ragione. Meglio che vada a lavarmi. Devo dire qualcosa ad Emily?»
«Ero venuta per darle una mano. Ma mi fermerò per un po' qui fuori con vostra figlia. Ovviamente se a te va, Esther.» annuisco. Come al solito ha capito che avevo bisogno di sfogarmi con qualcuno prima ancora che potessi capirlo io stessa.
Ci allontaniamo da casa quel tanto che basta per poter parlare sottovoce senza che mio padre ci senta, e ci sediamo sotto un albero.
«Non ce la faccio, Leah. Non ci riesco!» esplodo, scoppiando in lacrime e nascondendo la faccia sulle gambe. La mano di Leah mi accarezza i capelli, corti sul collo, mentre continua a stare in silenzio.
«Pensavo di riuscirci. Pensavo che nascondere tutto quello che provo sarebbe stato meglio per chi si era preso il compito di proteggermi. Pensavo che dimostrare a tutti che non c'era bisogno che mi guardassero come un cucciolo abbandonato in mezzo alla strada mi avrebbe aiutata a non pensarci, e invece...»
«E invece va sempre peggio. Esther, lascia che ti dica una cosa che ho imparato sulla mia pelle. Non devi dimostrare agli altri di essere forte, devi dimostrarlo a te stessa. E non è non pensandoci che riuscirai a superare il dolore. Lo devi affrontare, non aggirare!»
«E' che... ogni volta che -» porto la mano al cuore e stringo la maglietta, mentre le lacrime ricominciano a scivolare lungo le mie guance. Leah mi stringe a sé e mi culla.
«Lo so, Esther. Lo so.»
Rimaniamo in silenzio per qualche altro minuto, fino a quando non si alza in piedi e mi lascia sola. Piango, perché è l'unica cosa che sento di dover fare in questo momento.

Broken Hearts - Loging ForDove le storie prendono vita. Scoprilo ora