Someday (Pov Ethan/Esther/Ethan)

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Ethan
Riempio la testa di immagini della natura che mi circonda, mi sforzo di non pensare a quello che ho appena scoperto, al tradimento di tutti quelli che pensavo mi volessero bene e si fidassero di me.
Non so chi sia di ronda e non voglio neanche saperlo, spero solo che si faccia i fatti suoi e che stia fuori dai miei pensieri. Non credo che sopporterei una conversazione seria, in questo momento. Piuttosto manderei a quel paese ogni persona che cercasse di riportarmi alla Riserva. Perché è da lì che mi sto allontanando, ed è lì che non voglio tornare.
Lì ci sono Esther, papà, Renesmee e Sarah. Tornerei solo per i cuccioli, ma in questo momento non ho proprio voglia di vedere nessuno, e allora continuo a correre, correre e correre. Più veloce che posso, più lontano che posso. Fino a quando il paesaggio non cambia, e di fronte non ho più quello delle mie montagne, ma una distesa di laghi ghiacciati. Sono arrivato in Canada.
Mi fermo per un secondo ad ammirare lo spettacolo della natura che ho di fronte, maledicendomi per non essermi portato qualcosa da indossare. Mi sarebbe piaciuto fermarmi qui per un po', sento poco distanti i rumori di un paesino in fervente attività. Avrei potuto trovare un lavoro magari, rimanere qui, dove nessuno mi conosce, e pensare al da farsi, per un po'. Ma di certo non posso presentarmi nudo davanti a quelle persone.
E anche se potessi, le catene che tengono prigioniero il mio cuore non hanno intenzione di lasciarmelo fare. Al solo pensiero che io possa abbandonare la Riserva si sono strette in una morsa, rendendomi difficile anche solo ragionare lucidamente.
E' come se mi ordinassero di tornare.
Come se qualcuno le tirasse come dei guinzagli non estensibili.
Sono prigioniero. Della mia natura. Della mia vita. Di un amore che in questo momento vorrei dimenticare.
Prigioniero.
E forse non sono mai stato davvero libero.
Riprendere la strada di casa è difficile per la mia testa, e sentire che le catene lentamente si allentano, lasciandomi un po' di pace, mi fa soffrire, perché significa che la mia vita non potrà mai essere completa, lontano da lei.
Rientro nella villa dalla porta sul retro, torno in camera, mi lavo e mi vesto. Giusto in tempo per sentire la porta di ingresso aprirsi e sbattere furiosamente.
E' arrivata Sarah.
Mi vede sulle scale, e abbassa gli occhi.
«Scusa»
«Perché non me l'hai detto?» chiedo, con voce dura.
«Ho... sperato che te ne rendessi conto da solo. Poi abbiamo litigato per via del modo in cui avevo trattato... beh, lei. E quando vi siete lasciati hai trovato in lui un buon appoggio. E non volevo lasciarti da solo ad affrontare tutto, visto che io non potevo esserti vicina... poi ho iniziato a sperare che fosse lui a rivelarti tutto, e quando mi sono resa conto che non l'avrebbe fatto senza una spinta, ho cercato di convincerlo»
«Perciò l'hai ricattato»
«Si può dire di sì, anche se non avrei mai messo in atto la mia minaccia»
«Non me l'avresti mai detto»
«No, Ethan, non credo che avrei avuto mai il fegato di dirtelo, perché non -»
«Alt. Ferma. Non una parola di più. Dimentichi che io ti conosco da prima che nascessimo, e la tua capacità di rivoltare le frittate la conosco alla perfezione. Ma lasciami dire una cosa, Sarah. Hai sempre preteso, da quando sai dell'altra nostra natura, che ti fosse detta la verità, eppure non sei mai stata in grado di dirla quando c'erano in ballo cose importanti. O vogliamo dimenticare la festa del nostro undicesimo compleanno?»
Abbassa di nuovo lo sguardo, e annuisce. Sapeva perfettamente che avrei reagito così, eppure l'ha fatto lo stesso, e questo mi fa ancora più rabbia. Ricomincio a tremare, incapace di calmarmi.
«Ethan -» muove un passo nella mia direzione, mentre mi chiama.
«Non... non ti muovere» riesco a dirle a fatica. Non voglio farle del male, ma sembra che il lupo dentro di me non voglia saperne. Lei mi ha sfidato, mi ha mancato di rispetto, con queste bugie e queste verità nascoste. E lui non riesce a sopportarlo.
«Sarah... ti... ti prego... allontanati» sono le parole che riesco appena a pronunciare, prima di scoppiare. Per un attimo sono ancora io quello che gestisce questo corpo, e le lacrime sul volto di mia sorella mi straziano il cuore. Poi è lui, il lupo, ad avere il sopravvento.

Esther
Un'altra fitta al petto, ma è diversa da quella di prima, sembra quasi una richiesta d'aiuto. Ma perché? E' in pericolo, forse? Non sarà di nuovo caduto nelle grinfie dei vampiri?
Mi si ferma il respiro. Sta combattendo contro se stesso, e perderà, se non faccio qualcosa per lui. Non so cosa mi dia questa certezza, ma so che devo aiutarlo, e che per farlo devo necessariamente uscire di qua.
«Professoressa?» richiamo la sua attenzione, sperando che per una volta non faccia troppe storie.
«Mi dica, signorina Uley» risponde, alzando un sopracciglio e guardandomi con sufficienza. Se non fossi così umana ti farei vedere dove puoi infilarti quella sufficienza. Cerco di non ridere mentre mi chiedo da dove sia venuta una battuta del genere. Passo decisamente troppo tempo con il branco, ultimamente.
«Potrei andare in bagno?»
«Mancano dieci minuti alla fine dell'ora. Non può aspettare?»
«No, è urgente»
«Lei è incontinente?»
«Potrebbe anche essere» sbotto.
«Bene, allora può andare. Non ho interesse a che mi allaghi l'aula. Ma la prossima volta voglio un certificato che mi dimostri questa sua patologia»
Esco dall'aula, ignorando le risatine di quegli idioti dei miei compagni e della prof, e mi dirigo di corsa dalla parte opposta rispetto a quella che sarebbe corretta per la mia richiesta. Irrompo nella sala professori, ed è lì che trovo il mio bersaglio.
«Esther, cosa ci fai qui? Dovresti essere -»
«Zia Rachel, posso parlarti un secondo? E' urgente» taglio corto.
«Dimmi pure»
«Non qui. In privato» la mia faccia la convince subito a seguirmi. Mi indica la porta del bagno degli insegnanti, che apre con la chiave e richiude dietro di noi dopo avermi fatta entrare.
«Allora, cosa c'era di così urgente?»
«Ethan, lui è... in pericolo, zia. Devi avvertire subito lo zio Jake, ti prego, credimi»
«E' in pericolo come l'ultima volta? E tu come lo sai?»
«Non è come l'ultima volta, no. E non lo so come faccio a saperlo - dico, stringendo una mano all'altezza del cuore che batte sempre più furiosamente nel mio petto - E'... sta lottando con il suo lupo... ho paura che si perda, zia»
«Esther, calmati. Sei sicura di quello che dici?» annuisco.
«Jacob aveva ragione - mormora a se stessa mentre estrae il cellulare dalla tasca - Esther, io chiamerò Jake, tu però... devi correre da lui e cercare di riportarlo indietro. Ce la puoi fare soltanto tu»
«Ho paura di combinare qualche guaio»
«Stammi bene a sentire, ragazzina. Mio nipote ha avuto l'imprinting con te a undici anni. Ha aspettato otto anni per stare insieme a te, anche se adesso vi siete lasciati, e ne avrebbe aspettati ancora due se non ti fossi trasformata. E quel senso di angoscia che provi, quel dolore fisico che senti, e che attribuisci alle sue emozioni, non lo sentiresti se non foste legati da qualcosa di più di un semplice amore. E non venirmi a dire che non sai di essere l'unica a poterlo riportare indietro»
«Ma forse Sarah -»
«Non perdere tempo, Esther. Esci da qui e vai da lui - spalanca la finestra del bagno e mi indica una direzione - E' dai Cullen»

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