Brand new day (Pov Esther/Ethan)

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Esther

Lo odio.
Li odio. Mi correggo.
E' questo che penso mentre attraverso a grandi passi quel poco di Riserva che separa casa di Ethan da casa mia. Appena cinque minuti, di solito. Due, con questo passo affrettato e furioso.
Furioso.
Come me, perché ancora una volta la verità l'ho dovuta sapere da qualcun altro, da qualcuno che non è lui.
Da qualcuno che non sono loro.
Loro, che si sono sempre vantati di essere sinceri con me e Judith. Loro, che mi hanno fatta credere nella purezza del loro amore. Ma dove è puro un amore che fa soffrire così tanto qualcun altro? Dove?
Papà ha tradito Leah, e lei l'ha scoperto nel peggiore dei modi. Li ha scoperti. Insieme.
Ed è vero che lo sapevo, perché papà me l'aveva detto di averla tradita, ammettendo di aver baciato la mamma prima di lasciarla. Ma per la miseria! Un bacio è ben diverso da quello. Un bacio non vale vent'anni di silenzio, ha ragione Renesmee.
E Leah? Come ha potuto accettarlo? Lui era il suo ragazzo, ma lei ... lei era sua cugina! La sua migliore amica. La ragazza che avrebbe voluto come damigella d'onore al suo matrimonio con mio padre. Sospiro profondamente. Posso solo immaginare come si sia sentita. Tradita dalle persone che amava di più, e tutto per un destino che la odiava.
Entro in casa, sbatto la porta. Mamma si affaccia nel soggiorno e mi sorride. Non posso fare a meno di pensare che le cicatrici che le sfigurano il volto, altrimenti così simile al mio, le abbia meritate. Forse sono cattiva. Ma come si misura la cattiveria? Quello che ho appena pensato lo è, e quello che hanno fatto loro due no, perché era in nome dell'amore? Anzi, no, dell'imprinting?
«Tesoro, sembri sconvolta. Cos'è successo?» mi chiede, dolcemente, come fa sempre.
«Non sono affari che ti riguardino»
Il ringhio che esce dalle mie labbra mentre le rispondo mi fa capire che sono a un passo dal perdere il controllo. Ok, la odio, ma furiosa come sono rischierei di ucciderla, e so già che me ne pentirei, perciò mi volto e me ne vado in camera mia. In casa ci siamo solo io e lei, papà avrà accompagnato Judy a scuola, e oggi è il suo giorno libero alla falegnameria, perciò tra un po' tornerà, troverà la mamma in lacrime - anzi, no, lei non piange mai di fronte a lui - troverà la mamma triste per quello che è appena successo con me e correrà a cercare di sapere perché l'ho trattata così. Questo in meno di dieci minuti, dato che sono già le otto e trenta e arriverà a breve.
Mi guardo. Sono a piedi scalzi e indosso ancora le cose che mi ha prestato Ethan ieri sera dopo la doccia. Non ho intenzione di cambiarmi, queste cose rappresentano una sfida a lui e alla sua falsità, ai suoi falsi tentativi di proteggermi da una verità che lo fa vergognare. Si nasconde, nasconde le proprie colpe. Mente e obbliga gli altri a mentire per sembrare migliore di quello che è. Per far sembrare migliore l'imprinting. Chissà se quella storia è stata un'invenzione sua o dei suoi amici. Chissà se è stata un'imposizione degli anziani della tribù quando lui era ancora un pivellino. E se così fosse, come ha potuto il vecchio Clearwater imporre il silenzio a sua figlia. Come? Ci credo che è morto di infarto. L'hanno ucciso le sue colpe, altro che il colesterolo!
Mi piacerebbe credere che fosse frutto delle macchinazioni di qualcun altro, ma la verità è una sola. Lui, mio padre, il mio modello, l'uomo che adoro dalla mia nascita, che mi ha insegnato ad amare e che cerca di proteggermi fin da quando sono in fasce, non è affatto perfetto come vuole far credere. E' un bugiardo, un traditore e un manipolatore.
E i suoi amici sono come lui.
Bugiardi e meschini. Perché l'hanno protetto, e perché gli hanno permesso di mantenere una buona reputazione nonostante quello che ha fatto. Non ha mai pagato per le sue colpe. L'unica che ha pagato, e senza doverlo affatto fare, è stata Leah.
E non capisco come non si sia mai ribellata a quel silenzio che le era stato imposto. Magari con un ordine alpha. Con uno di quegli ordini così potenti da spingerti a fare cose che rappresentano tutto il contrario di quello che faresti in condizioni normali e che ho avuto occasione di sperimentare sulla mia pelle giusto qualche giorno fa. Uno di quegli ordini che ti fa sentire spezzato, un burattino in mano a qualcuno che crede di saperne più di te solo perché il potere gli dà alla testa. E li ho visti gli occhi di Ethan mentre mi dava quell'ordine. Erano impauriti, sorpresi e delusi quasi quanto i miei. Ma sono sicura che fosse solo perché dall'altra parte c'ero io. Con chiunque altro il potere avrebbe dato alla testa anche a lui.
Ethan.
No, lui non è così, non ha quella sete di potere. Non avrebbe goduto nel piegare la volontà di qualcun altro neanche se dall'altra parte ci fosse stato, che ne so, Seth.
Ethan.
Adesso che penso a lui, mi sento in colpa per come l'ho lasciato senza una spiegazione. Si sarà già accorto che manco? Oppure starà ancora litigando con zio Jake per colpa di quell'imbecille di mio padre. Imbecille, bugiardo e traditore. Se penso a come avremmo potuto trascorrere la mattinata prima che lui partisse per Seattle ... a quello che avremmo potuto fare appena svegli ... Se penso che mi sarei potuta svegliare con i suoi baci, fare di nuovo l'amore con lui, dirgli che lo amo, e che non cambierò mai idea, e sentirmi rispondere che anche lui mi ama, mi monta una rabbia, che arricchisce quella che provo verso mio padre. Sta distruggendo la mia vita, è colpa sua se non avrò più punti di riferimento. Perché è chiaro che lui e la mamma non potranno più essere i miei punti di riferimento, visto che non sono quello che pensavo che fossero.
Ecco, il momento della verità è arrivato. Chissà se adesso, finalmente, messo con le spalle al muro, mi dirà quello che è successo realmente. Chissà se mi riterrà abbastanza grande per sapere.
Sento i suoi passi veloci sulle scale, il suo tocco sulla porta della mia camera rimbomba nel silenzio che c'è all'interno. Non aspetta che gli risponda, apre la porta come fa di solito, come se si aspettasse di trovare ancora la piccola Esther che gli si lancia contro per abbracciarlo e coprirlo di baci. Quella Esther non esiste più. E' morta, e l'ha uccisa lui, con i suoi comportamenti e le sue bugie. Assassino, bugiardo e traditore.
«Ehi, pulcino, la mamma mi ha detto che eri sconvolta, poco fa. Ti va di dirmi cos'è successo?» mi parla come fa di solito. Non sa che stavolta non riuscirà a calmarmi. Non ci riuscirà perché è colpa sua se sto così. Sua e delle sue menzogne.
«No. E non chiamarmi pulcino» gli rispondo, sperando che mi lasci in pace. Voglio stare da sola. Furiosa e depressa per quello che so che ho perso. Per la giornata che potevo avere e che invece non avrò per colpa sua. E poi non sono il suo pulcino. Sono Esther. Una ragazza di sedici anni. Una donna, con le sue esperienze, il suo cervello e il suo corpo. Suo. Non di suo padre. Che poi è il motivo per il quale adesso sono furiosa con lui. Se lui non si fosse comportato come se fossi di sua proprietà, a quest'ora mi starei divertendo con Ethan nel suo letto. O più probabilmente starei dormendo tra le sue braccia.
«Tesoro, tutto bene con Ethan?» insiste.
«Sì»
«Sicura? E' stato ... carino, con te? Voglio dire, ti ha trattata bene?»
«Sì, e sì» rispondo laconica.
«Ti ha fatto male?»
«Potresti cambiare quello che è stato?»
«Siete stati ... attenti?»
«Con 'attenti', mi stai chiedendo se si è infilato il preservativo o se abbiamo fatto attenzione che non ci scoprisse nessuno?» gli chiedo, sarcastica.
Mi fissa a bocca aperta, quasi non mi riconoscesse. Bene. Mi piace. Non voglio che abbia la sensazione di avere di fronte la piccola Esther che pendeva dalle sue labbra. Quella Esther non esiste più.
«No, aspetta, alla seconda non puoi aver neanche pensato, perché non ti verrebbe mai in mente che qualcuno ti possa cercare mentre stai facendo l'amore con la persona che ami»
«Che stai dicendo?» queste sono le parole che escono dalle sue labbra, la sua faccia mi chiede se sono impazzita.
«Cos'è successo con Leah, veramente?»
«Non capisco a cosa ti stia riferendo» mi fissa, irrigidito, la mascella tesa, i denti stretti, i pugni chiusi lungo i fianchi.
«Dimmelo tu. Stamattina mi sono svegliata, e il mio fidanzato, con il quale ho passato la notte a fare l'amore, non era nel letto con me. Mi sono alzata per cercarlo, e quando ho aperto la porta della sua stanza l'ho sentito litigare furiosamente con suo padre»
«Che c'entro io con -»
«L'accusa che è stata mossa ad Ethan è stata quella di non saper 'tenere l'uccello nei pantaloni', testuali parole di zio Jacob»
«Modera i termini, signorina. Se avessi voluto che parlassi in questo modo non ti avrei insegnato la lingua corretta. E ancora non capisco a cosa tu voglia arrivare»
«Davvero, papà? - sottolineo con un accento ironico l'ultima parola, di proposito - eppure dal tuo atteggiamento difensivo direi proprio il contrario»
Lezione numero uno di autodifesa. Controlla sempre il linguaggio del corpo del tuo avversario. Capirai subito se ha paura di te o se è convinto di poterti battere. E in questo momento ha molta paura di quello che potrei dire.
«Esther, davvero, non so cosa tu voglia dire»
«Perché Renesmee ha detto a zio Jake che non poteva accusare Ethan con le tue parole, quando tu sei stato il primo a non saperti controllare?»
«Tesoro -»
«Papà, voglio la verità, per una volta. Quella verità che mi hai sempre insegnato a cercare e a pretendere. Cos'è successo, veramente, con Leah?»
Ci fissiamo, in silenzio, per qualche minuto. Le nostre spalle si muovono impercettibilmente rispondendo a quel bisogno d'aria che hanno i nostri polmoni. Ci studiamo, attendendo che uno dei due si arrenda. Siamo due guerrieri. Sono sua figlia, gli somiglio, porto a spasso ogni giorno il cinquanta per cento dei suoi geni. Ma, in questo momento, sento che l'unica cosa che mi accomuna a lui è la biologia.
«Niente che un padre possa raccontare a una figlia sedicenne» mi risponde, sospirando.
«Perfetto. Pertanto, il sapere che ho perso la verginità e con chi è successo non ti autorizza a fare domande a riguardo. Una figlia sedicenne non racconta queste cose a suo padre. E, se proprio lo vuoi sapere, Ethan è stato perfetto. Sa dove mettere le mani, la bocca e -»
Lo schiaffo che mi colpisce una guancia mi coglie di sorpresa. Ma sorpresa non lo sono più un istante dopo, quando mi sfugge un ringhio dalle labbra e mi metto inconsciamente in posizione di difesa. Davanti a me c'è mio padre, che si guarda stupito la mano e implora il mio perdono con gli occhi.
Mi porto una mano alla guancia.
«Vattene» sibilo.
«Tesoro, perdonami» mi chiede, con lo sguardo da cane bastonato.
«Solo se hai intenzione di dirmi la verità» chiedo, testarda e arrabbiata. Il suo sguardo cambia di nuovo, e gli vedo brillare negli occhi una luce furiosa.
«Non sono affari tuoi, ti ho detto. Tra l'altro sei ancora troppo piccola, e deciderò io se e quando sarai pronta per sapere certe cose»
«Perfetto - dico, avvicinandomi alla porta e aprendola - Ora, vattene. Deciderò io se e quando sarai di nuovo il benvenuto in questa stanza»
Mi mordo le labbra, sperando che non se ne accorga, cercando di trattenere le lacrime che minacciano di uscirmi dagli occhi. Sono ferita dal suo comportamento. Ferita dalla sua mancanza di fiducia. Ferita dal fatto che non mi abbia neanche chiesto scusa per avermi rovinato questa giornata.
Imbecille, bugiardo e traditore.
Non ti perdonerò mai.
Mi guarda per qualche istante. I suoi occhi sono stanchi, ma reggono ancora il mio sguardo assassino. Annuisce ed esce. Sbatto la porta alle sue spalle per rimarcare il fatto che lui, qui dentro, non è più gradito. Guardo la foto di me e di lui che ho sulla scrivania insieme a tante altre che mi ritraggono più o meno bambina, allegra e spensierata.
La prendo, accarezzo il suo viso segnandone il profilo con le dita, mentre la vista si appanna con le prime lacrime che lascio libere di uscire.
Un accesso di rabbia mi fa scagliare la cornice contro il legno del pavimento. Il vetro si rompe in mille pezzi, ed io sono scalza. Ci cammino sopra, mentre cerco di raggiungere il letto. Non sento neanche il dolore, tanto è quello che riempie il mio cuore. Ho perso i miei genitori. Sono ancora in vita, ma è come se non lo fossero. Non sono le persone che ho sempre pensato che fossero. Questi due sono degli estranei, degli sconosciuti, e li odio.
Tutto quello che ho sempre fatto perché credevo fosse giusto, perché loro mi avevano insegnato che era giusto, è una mera illusione. Giusto perché era giusto agli occhi di due bugiardi e traditori della peggiore specie.
Tutti i loro valori, i loro ideali, quelli nei quali sono cresciuta, null'altro che parole vuote e prive di senso.
Tutte le loro regole, le loro imposizioni, non le rispetterò mai più.
Sono sola. Sola, con il mio Ethan, come mi ricorda l'odore che ho addosso. Con il mio Ethan, con il quale vorrei essere anche adesso. E' solo di Ethan che ho bisogno, ora più che mai.

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