[Capitolo 11] - Loophole

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Passeggiare lungo la riva del fiume Han* era un'esperienza gratificante.

Il lento scrosciare dell'acqua solleticava l'udito, dando pace alle poche anime che potevano goderne.

Choa si sedette su una delle panche di legno del parco e rimase immobile ad ascoltare il suono gradevole delle onde che s'infrangevano sugli argini.

Respirò a pieni polmoni e chiuse gli occhi.

Come ogni mattina si era svegliata, lavata, truccata, aveva salutato la sua coinquilina e si era avviata verso il bar dove lavorava da più di sei anni.

Aveva coperto il suo turno come al solito e come al solito, aveva chiamato Seori per chiacchierare qualche minuto sulla giornata.

L'aveva sentita distante, preoccupata. Il tono con cui le aveva parlato le aveva ricordato il giorno in cui si erano incontrate.

La più piccola si era appena trasferita da e stava cercando un piccolo impiego per pagare gli studi.

Si erano conosciute per caso una mattina d'autunno quando Seori le aveva chiesto se cercassero personale e con la scusa di farla parlare con il capo, l'aveva fermata per fare quattro chiacchiere.

Dopo l'assunzione la più giovane aveva tentato di limitare i rapporti allo stretto necessario ma con il tempo, si era lasciata ammorbidire.

Erano come il sole e la luna, il giorno e la notte.

Lei come ogni coreano, vagabondava per locali alla ricerca del divertimento mentre Seori sembrava costantemente in cerca di un modo per scomparire.

Anche da manager di un gruppo kpop era riuscita a trovare il modo di nascondersi, lasciando ad altri il compito di prendersi i suoi meriti.

Era strana.

«Ti piace ciò che vedi?» le chiese ad un tratto una voce alle spalle.

Choa riconobbe subito il timbro cristallino dell'amica ed alzò le spalle con non curanza facendole posto «Come va il lavoro?».

«Come al solito! Manchi a tutti!» le rispose concentrata ad ammirare un gabbiano in piedi sul tetto di una nave.

Seori annuì «Dubito che mi ridiano il mio posto vero?» Choa rise «Dipende... Niente è impossibile».

Rimasero in silenzio per quello che sembro essere l'eternità.

Seori guardava di tanto in tanto il telefono aziendale per tenere sotto controllo le e-mail e le telefonate che si era ripromessa d'ignorare.

«Come vanno le cose?» chiese Choa spostando l'attenzione dall'orizzonte all'amica.

Seori pensò a quella mattina.

Stava firmando l'ultimo documento per il fan meeting che ci sarebbe stato di lì a poco meno di un mese quando aveva notato un email, l'aveva aperta incuriosita dal nome.

Aveva un brutto presentimento considerato che i computer dell'agenzia bloccavano automaticamente l'email esterne.

Aveva deciso comunque di leggerla "Ti tengo d'occhio. A presto Angel" e ne era rimasta spiazzata.

Era abituata alle minacce quel nome le era risuonato in testa con una forza d'urto distruttiva.

Nessuno tranne Mark e Yoongi sapeva come si chiamasse realmente ma loro non le avrebbero mai scritto delle cose del genere.

La sensazione di pericolo che per anni l'aveva tormentata era rinata facendole rimbombare il testo con la sua voce.

Lo aveva sentito vicino, troppo vicino come se potesse uscire da un angolo buio e rinchiuderla in quell'incubo che aveva cercato di dimenticare.

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