[Capitolo I] - Phone Call

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La suoneria del telefono s'insinuò nelle orecchie della ragazza che dormiva beatamente con il capo nascosto sotto il cuscino.

I capelli scompigliati assunsero una forma non ben distinta non appena ebbe alzato il viso per dirigerlo verso il fascio di luce che si sprigionava dal dispositivo sul comodino.

Sullo schermo infuriava un numero sconosciuto e ci fu un breve attimo in cui valutò l'idea di non rispondere.

Si rese presto conto però che chi la stava cercando non avrebbe mollato facilmente e perciò tese la mano e parlò con la voce impastata dal sonno e gli occhi chiusi.

Udì un vociferare lieve come sottofondo mentre la voce in primo piano era di una donna probabilmente sulla cinquantina, che con estrema calma le chiese informazioni.

Seori rispose quasi meccanicamente ai quesiti della donna finché non le disse «È pregata di venire in azienda. Il CEO* ha richiesto di vederla di persona».

Nel breve attimo che percorse dalla fine della frase e l'elaborazione da parte della sua testa, tutto si fermò «Cosa?» chiese.

«Il CEO ha richiesto di vederla- ripeté stizzita la segretaria- che cosa non ha capito?!» Seori si mise seduta sul materasso con pigrizia e passò la mano sugli occhi mettendole poi tra i capelli «Il CEO chi? Quale agenzia? Perché avete chiamato me?».

L'altra rimase in silenzio facendo cadere Seori nel panico di essersi immaginata tutta la conversazione e di aver fatto una figuraccia «Venga alla BigHit Entertainment alle 11 in punto! Le spiegheremo tutto una volta che sarà qui».

Rimase con il telefono vicino all'orecchio fino al momento in cui, come risvegliata da un sogno, spostò l'oggetto davanti agli occhi e osservò lo schermo saltando sul posto per l'ora «È tardi!» urlò.

Si diresse verso l'armadio e si vestì velocemente indossando gli abiti più presentabili che possedesse e dandosi una sistemata davanti allo specchio.

Prese le chiavi di casa, il telefono e la borsa, catapultandosi fuori dal portone d'ingresso.

L'appartamento in cui viveva era abbastanza lontano dalla zona industriale di Seoul, perciò, dovette percorrere il sudicio vicolo che divideva il suo stabile dalla civiltà affrettandosi a posizionarsi sull'orlo della strada per chiamare un taxi e farsi portare verso l'agenzia.

Mentre l'autista inveiva contro i tanti passanti mattutini, Seori tentava di ricordare le domande che la segretaria le aveva fatto con la vaga sensazione di dimenticare qualcosa d'importante.

Una volta arrivati a destinazione, pagò la corsa e si affrettò ad avvicinarsi all'enorme edificio.

La BigHit era un'azienda d'intrattenimento, fondata come etichetta discografica nel febbraio del duemilacinque da Bang Sihyuk un produttore musicale abbastanza famoso, che aveva aiutato a debuttare diversi solisti e gruppi che a quanto dicevano delle voci di corridoio, non se la passavano granché bene.

Seori guardò per l'ultima volta l'esterno e con un lungo respiro entrò dirigendosi alla reception.

Dietro alla scrivania le segretarie discutevano animatamente al telefono o con gli impiegati.

Quando tentò di parlare con la prima che notò libera, chiedendo informazioni circa il precedente contatto, non riuscì a terminare neanche la prima frase che una donna le si avvicinò inchinandosi leggermente per salutarla e porgendole un cartellino simile a quello che lei stessa indossava intorno al collo.

La donna era di statura minuta, i capelli argentei le incorniciavano il viso scavato dalle profonde occhiaie e sulle labbra il rossetto rosso acceso le faceva contrasto con la carnagione pallida rendendo il sorriso che le dedicò ancora più freddo e infastidito.

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