3.39 • SED UT NULLO

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Sorvolammo l'intera città dei Reazionari di cui, dopo la furia distruttiva del passaggio delle Viverne, era rimasto gran poco.

«Dov'è mio fratello?»

«È al sicuro con tua madre e Genevieve» mi rispose Viktor, urlando per scavalcare Agenore, seduto tra di noi a cavallo della Viverna.

«E i gemelli?»

«Heikki e R-rami volevano c-combattere. K-kirk ha dovuto m-metterli sotto c-chiave per tenerli al sicuro» rispose Agenore.

Il frastuono del combattimento squarciò la notte interrompendo la concisa conversazione. Ci stagliammo sopra il Colosseo, illuminato a giorno dalle fiaccole e dai bagliori degli incantamenta che, fulminei, sfrecciavano da tutte le parti. Da quell'altezza non mi era possibile distinguere i volti dei combattenti che, a centinaia, si stavano disordinatamente fronteggiando nell'arena. Avevo difficoltà persino a distinguere i geni da coloro che non lo erano. E, se anche fossi stata in grado di riconoscerli, sarebbe rimasto il fatto che, purtroppo, non tutti erano schierati dalla nostra parte. Il Colosseo era troppo affollato. Se avessi indotto la Viverna ad attaccare, sarebbero morti tutti, indistintamente.

Scendemmo di quota, ma non riuscii comunque a individuare Kirk, in quell'inferno di boati e fulgori accecanti. Individuai, però, molte altre cose che avrei preferito non dover vedere. I giganteschi Ciclopi, lenti e pesanti, troneggiavano su tutti gli altri combattenti. Uno di loro, con il collare troppo stretto intorno al collo e vestito solo di un misero brandello di stoffa, era ferito alle gambe e aveva varie lance conficcate nella schiena nuda. Si muoveva avanti e indietro, confuso, brandendo un tronco di albero tra le mani enormi. Lo agitava davanti a sé come una mazza da golf da mezza tonnellata e, con esso, colpiva, fratturava, spezzava o schiacciava ogni essere vivente gli capitasse a tiro.

Altri sei o sette Ciclopi si aggiravano ruggendo nell'anfiteatro, sfilandosi picche dalla carne, calpestando, afferrando, stritolando. Uno di loro calò le mani in mezzo a un gruppo di Magi, impegnati nell'infame compito di lanciare incantamenta contro altri Magi con i loro complicati rituali da eseguire con le mani. Il Ciclope ne afferrò uno e lo stritolò davanti agli occhi attoniti di tutti i suoi compagni e io riconobbi la grossa testa a forma di pallone di harpastum del professor Leon, sballottato come un fantoccio senza vita.

Da un gruppo di Venatores che stava cercando di fronteggiare i Ciclopi per arginarne la furia distruttiva, saltò fuori una piccola ragazza bionda. Roze. Lanciò qualcosa che schizzò via dalle sue mani simile a un boomerang incandescente che, con una precisione chirurgica, colpì il polso del Ciclope, bloccandoglielo. Perse così la presa sul professor Leon, che cadde pesantemente al suolo. Il Ciclope era stato ammanettato, ma il professore non si era più mosso, nonostante Roze lo stesse scuotendo per le spalle.

Con il viso sfregiato e il mantello nero agitato dal vento e dalla foga della battaglia, il professor Ionascu emerse dalla baruffa, tirò Roze su per un braccio e la trascinò via, giusto un attimo prima che il Ciclope con il tronco la centrasse in pieno.

Li persi tra la folla. Il mio sguardo sfrecciò in lungo e in largo all'interno di quella struttura circolare, tra le urla e il sangue, alla ricerca di Kirk. Improvvisamente, però, uno spostamento d'aria mi costrinse ad alzare lo sguardo. Due occhi rossi e furibondi puntavano dritti verso di me. Un'altra Viverna, con il collare stretto al collo, si stava dirigendo a tutta velocità verso di noi.

Non riuscimmo a evitarlo. La nostra Viverna fu colpita su un fianco, si inclinò da un lato e urlò. Poi dimenò le ali, di cui una evidentemente ferita e dolorante, e si avvitò su se stessa. Non potei fare altro che arpionarmi disperatamente alla spina davanti a me, nonostante la forza centrifuga cercasse di strapparmi via. Agenore era aggrappato a me con la stessa tenacia. Lo sentii urlare parole confuse, senza capire cosa stesse accadendo.

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