3.30 • SPREGIUDICATAMENTE FOLLE

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Quando riuscii a tirarmi fuori da quell'incubo di ricordi, ebbi l'impressione di aver dormito per giorni. Aprii gli occhi e stiracchiai gli arti intorpiditi.

«Corna di Bacco!» sentii urlare, e Yumi fu su di me in un attimo. «Sei viva!»

«Pare di sì» risposi. E mi sentivo anche sorprendentemente bene.

«Tua madre ti ha curata» disse. «E, con l'aiuto del Lapis Niger, hai recuperato in pochissimo tempo».

«Ho rischiato di morire, vero?»

«Sì» rispose lei, carezzandomi i capelli. «Sì, avevi due costole rotte e un polmone perforato. Ma ora è passata».

«Dov'è Rei?» domandai.

«È dovuto tornare al tempio» rispose lei. «Ma ha vegliato su di te per tutto il giorno».

Avrei avuto bisogno di vederlo subito. Di urlargli addosso che era stato un vero idiota a introdursi al Lapis Niger, di gridare e di picchiarlo. E poi dovevo scusarmi con lui e dirgli che lo amavo ancora alla follia. Ma c'era anche un altro pensiero che aleggiava, funesto, nella mia mente.

«Kirk?» domandai, con un filo di voce, scostandomi appena da Yumi. «È morto?»

«No, non è morto» rispose lei, del tutto priva di quel risentimento astioso che appuntiva il suo viso ogni qualvolta si era parlato di lui, in passato. «No, è stato curato anche lui e ora sta bene».

Il dolore fisico era completamente passato. Ma il dolore legato al ricordo di ciò che era accaduto non sarebbe passato con altrettanta facilità. E nessuna pietra avrebbe accelerato il processo di quella guarigione. Mossa da quel ricordo improvviso e violento, mi portai le mani al volto. I miei polpastrelli vennero immediatamente in contatto con i lunghi cordoni cicatriziali che, dal sopracciglio destro fino al lato sinistro della mandibola, mi attraversavano il viso da una parte all'altra.

«Cazzo» singhiozzai. «Sono rimasta sfregiata».

«Sì» rispose Yumi, e due grosse lacrime lasciarono i suoi occhi neri. «Mi dispiace tanto, Ania. Però sei viva...e poi sei bella lo stesso, te lo giuro».

Individuai uno specchio a parete, mi alzai dal letto e lo raggiunsi. L'immagine che mi restituì mi sconvolse.

«Dice tua madre che tra qualche giorno le cicatrici saranno meno rosse e meno gonfie» disse Yumi, comparendo al mio fianco.

Mi sfilai la maglietta e osservai anche il collo e il petto. Sembrava che fossi passata sotto le grinfie di un orso inferocito.

«Va bene» dissi, inghiottendo le lacrime, e mi rinfilai la maglietta. «Va bene, non fa niente».

«Magari, in seguito, tua madre riuscirà a rimuoverle» singhiozzò la mia amica.

«Sì, magari» confermai.

Non ne avrei fatta una tragedia. Rei aveva messo in pericolo la sua vita per salvare la mia. Quelle cicatrici non erano niente in confronto al sacrificio che aveva dovuto fare per la causa.

«Dove siamo, a proposito?» domandai, guardandomi intorno.

Ci trovavamo in una stanza da letto gelida e fatiscente. Il letto a baldacchino era storto e scrostato, i tendaggi alle finestre che, con i vetri rotti, si aprivano su uno scenario buio e piovoso, erano ingialliti e rattoppati in più punti.

«Allo sbracato di Mario, al Foro» rispose lei.

Si sentì bussare alla porta e, prima ancora che avessimo il tempo di rispondere, Devon, vestito da centurione, fu dentro la stanza.

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